Maria, ai piedi della croce, “stabat”,
nella più alta solitudine. “Stabat”, come si deve stare davanti al dolore, senza
diserzione.
Eppure
il Vangelo ha un plurale: «Stavano presso la croce di Gesù…». Quel gruppo
composto da Maria, le donne, il discepolo amato, è “attirato” da Colui che è “innalzato
da terra”. Quel gruppo, di poche persone, è l’inizio e la profezia dei “tutti”:
«Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (12, 32).
Ai piedi della croce si sta come Chiesa, uniti, come un unico popolo di Dio, con Maria tra noi, la Madre, mai isolata dai suoi figli, solidale, fino a formare con essi l’unico corpo di Cristo. Il mistero della croce, che si riverbera in ogni dolore, lo si vive insieme e si sta assieme, uniti dalla Madre, di fronte al Cristo, per accoglierlo in pienezza e riviverne il mistero.
Maria
è al centro della narrazione evangelica. Le parole di Gesù, come una formula di
rivelazione, sono rivolta a lei, le conferiscono una missione tutta spirituale,
costituendola in una nuova maternità.
Vi
è tuttavia una seconda parte della parola pronunciata dall’alto della croce, speculare
e quasi un riflesso della prima; è rivolta al discepolo: «Ecco tua Madre». Gesù
deve renderlo consapevole della condizione nella quale l’ha introdotto: ha una
nuova madre e, grazie alla madre, è entrato in una realtà nuova, è diventato “figlio”.
Per essere tale deve riconoscere, accettare e accogliere la Madre: «E da quell’ora
il discepolo l’accolse con sé» (19, 27). Un’accoglienza fisica? La prese in casa
con sé? O non piuttosto un’accoglienza ben più profonda, fatta di comunione di
fede e d’amore che li rende inseparabile l’una all’altro.
Il
discepolo – non ha nome perché in lui, discepolo perfetto, ogni altro discepolo
possa riconoscersi – affidato alla madre di Gesù diventa fratello suo, è
generato altro Gesù, come spiegava il grande Origene: «Non c’è alcun figlio di
Maria, se non Gesù… Egli dice a sua madre: “Ecco il tuo figlio” (e non già: “Ecco,
anche questo è tuo figlio”), ciò equivale a dire: “Questi è Gesù che tu hai
partorito”. Infatti chiunque è perfetto “non vive più”, ma in lui “vive Cristo”;
e poiché in lui vive Cristo, quando si parla di lui a Maria si dice: “Ecco il
tuo figlio”, cioè Cristo».
Maria
diventa Madre della Chiesa e di tutti i credenti resi altri Cristo, e il discepolo
membro della Chiesa, altro Cristo. Inizia un cammino di reciprocità. Maria è
affidata al discepolo così come il discepolo è affidato a Maria.
Ella
deve imparare a riconoscere il figlio suo in tutte le persone che le sono affidate,
così come ogni discepolo deve imparare a riconoscere in ogni persona che
incontra suo fratello e sua sorella.
Come
Maria accoglie il discepolo, il discepolo riconosce la maternità di Maria nei suoi
confronti e la accoglie come “sua”, come madre, come una persona che gli appartiene:
«E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé». Ogni discepolo diventa vicario
dell’amore di Gesù verso la Madre, espresso pienamente nelle parole programmatiche
del pontificato di Giovanni Paolo II: “Totus tuus”. Accogliere Maria è accogliere
Gesù, in risposta alla richiesta che il Signore crocifisso rivolge dall’alto
del suo trono regale, è adempiere il suo testamento.
Accogliere
Maria come Madre è accogliere tutti come fratelli e sorelle, è adempiere l’altro
testamento enunciato nel cenacolo: «Amatevi l’un l’altro come io vi ho amati»
(15, 12).
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