Il
Crocifisso di Luca ha una profonda dignità, è pieno di misericordia e le sue
parole infondono pace e speranza. «Padre, perdona loro perché non sanno quello
che fanno» (23, 34) è la prima delle tre parole che, secondo questo Vangelo, Gesù pronuncia
sulla croce.
Seneca
scrisse che coloro che erano crocifissi maledicevano il giorno della loro
nascita, i carnefici, le loro madri e persino sputavano su coloro che li
guardavano. Cicerone racconta che a volte era necessario tagliare loro le
lingue per far tacere le terribili bestemmie che uscivano dalla loro bocca.
Gesù invece diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
“Diceva”.
Un verbo all’imperfetto, si tratta dunque di una preghiera che egli ha ripetuto
più volte, mentre veniva inchiodato sul legno e mentre vi era sospeso. Non
aveva insegnato egli stesso a pregare con insistenza, senza stancarsi mai (19,
1-8)? La preghiera è un tema centrale nel Vangelo di Luca; Gesù non poteva
terminare la vita se non con una preghiera, rivolgendosi al Padre, come aveva
insegnato a fare ai discepoli (11, 1-4) e come egli stesso aveva fatto
costantemente: “Padre…”.
Spesso,
quando leggiamo questa parola, concludiamo frettolosamente: Gesù perdona i suoi
crocifissori. Basta ascoltare con calma ed è subito evidente che egli non dà
personalmente il perdono, ma lo chiede al Padre. Egli intercede per i suoi
uccisori: “Perdona loro…”. Chi sono questi “loro”? I soldati, i capi del popolo,
il popolo stesso? Oggetto di perdono sono semplicemente “loro”, senza ulteriore
specificazione: tutti, quelli di allora e quelli di sempre, anche noi. Anche adesso,
riflette l’apostolo Paolo, egli è vivo, sta alla
destra di Dio e intercede per noi (Ebrei 7, 25; Romani 8, 30). L’apostolo
Giovanni lo chiamerà “avvocato”, uno che sta dalla nostra parte, che sostiene
la nostra causa: «Se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre:
Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non
soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (1 Giovanni
1, 1-2).
Gesù chiede al Padre di perdonare. Già nell’Antico
Testamento Dio definiva se stesso «misericordioso e pietoso, lento all’ira e
ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni,
che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato…» (Esodo 34, 6-7; 33,
18). Lungo tutto il suo insegnamento Gesù ha continuato a far conoscere l’amore
capace di perdono del Padre.
È
noto che dal punto di vista lessicale il concetto di misericordia, nella terminologia
ebraica, rimanda al “seno materno”, da cui proviene la vita. È un amore di
compassione, materno. Non è Dio come una madre? «Si
dimentica forse una donna del suo bambino, / così da non commuoversi per il
figlio delle sue viscere? / Anche se queste donne si dimenticassero, / io
invece non ti dimenticherò mai» (Isaia, 49, 15).
Nel Vangelo di Luca Gesù parla di questo amore soprattutto attraverso le parabole della misericordia: il pastore che va in cerca della pecora smarrita, la donna che cerca la moneta perduta, il padre che accoglie il ritorno del figlio che se n’è andato di casa (11, 1-32).
Arriva
addirittura a scusare i suoi crocifissori: “non sanno quello che fanno”. È il
culmine dell’amore. Non è la giustificazione di un crimine oggettivo, ma la
consapevolezza che il mistero di Dio è così grande che attorno a lui nessuno
può esserne pienamente consapevole. La sapienza di Dio è rimasta nascosta, «se
l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria» (1
Corinti 2, 7-8).
Dell’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso in Congo nel 2021, un collega testimonia: «Vedeva i difetti altrui con uno sguardo bonario e invariabilmente empatico. Ma insomma, gli dicevo, possibile non ti arrabbi con Tizio che ha combinato questo guaio o con Sempronio che si comporta in quella maniera indegna? Luca rispondeva sempre: ma a che serve arrabbiarsi? Forse Tizio quel giorno aveva un problema in casa sua che non conosciamo e Sempronio semplicemente è inadeguato al suo compito, ma non lo si cambia arrabbiandosi»: sapeva scusare chi sbagliava, pur riconoscendo lo sbaglio.
La
richiesta del perdono che Gesù rivolge al Padre mostra, naturalmente, che egli stesso,
da parte sua, ha già perdonato. Come potrebbe essere altrimenti? Gesù è la
manifestazione dell’amore di Dio per i peccatori, fino a perdonarne i peccati,
come fa con il paralitico (5, 17-26), con la donna peccatrice (7, 36-50), con
quanti libera dalle infermità.
Nella
sua preghiera rivolta al Padre è racchiuso il suo ammaestramento: «amate i
nostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che ci
maledicono, pregate per quelli che vi trattano male» (6, 28). Morendo egli vive
quanto ha insegnato, ha pregato per i suoi nemici, li ha amati, li ha
perdonati.
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