1 marzo 2001: nuore p. Marcello Zago. A vent’anni dalla
sua partenza rileggiamo qualche stralcio dell’introduzione che Andrea
Riccardi scrisse per il libro che pubblicai nel 2007: Marcello
Zago, uomo del dialogo. Un’antologia, Ancora.
Marcello Zago è stato una grande personalità della
Chiesa nella seconda metà del Novecento. È una affermazione che può sembrare
esagerata, perché questa figura di religioso e di vescovo non ha mai occupato
la scena né è mai comparsa sui giornali o nei dibattiti. Eppure mons. Zago ha
incarnato i grandi problemi del cattolicesimo sugli scenari del mondo: la
missione del Vangelo e il dialogo con le religioni. Ha portato in sé questi
problemi con una struttura personale limpida, tutta orientata ad una vita
spirituale intensa, come è testimoniata dalle pagine di questa antologia. Nel
1985 scrive: “Il centro del Cristianesimo non è una dottrina, ma Cristo stesso.
Diventare o essere cristiano significa accettare la persona di Cristo come
ispirazione, centro, norma, sorgente di vita e azione”. Padre Zago è un
cristiano vero che, in ogni stagione della sua vita, si pone il problema della
sua conversione e del suo cuore.
È figlio di un’Italia povera, quella del secondo
dopoguerra, seminarista felice, che sceglie per la vocazione missionaria tra
gli Oblati di Maria Immacolata. La missione sgorga dal suo cuore di credente,
convinto di dover comunicare il Vangelo. Giovane missionario in Laos, superiore
generale della sua congregazione, segretario della Congregazione per
evangelizzazione dei popoli, Marcello Zago è sempre abitato dalla stessa
passione missionaria. Vuole coinvolgere tutta
Il cristiano è un uomo senza frontiere. Questa
immagine, che Zago predica, è la realtà della sua vita. Popoli lontani ed
estranei alla propria vita, divengono familiari per il missionario. Il metodo è
vitale: “Il primo atteggiamento del missionario è quello di amare le persone e
i gruppi umani a cui si è invitati, con la loro storia e la loro cultura, i
loro valori e anche i loro difetti”. L’amore non è cieco ma si realizza
donandosi. Marcello Zago ha vissuto questo dono con amore in Laos dal 1959 al
1966. Comincia a scoprire l’Asia fin dal suo arrivo a Singapore. Qui, andando
nel santuario di Maria si rese conto che “tra i numerosi pellegrini c’erano non
solo cattolici, ma anche i protestanti, degli indù, dei buddisti e dei
musulmani”. E conclude: “tutti andavano da Maria per confidarle una pena, per
chiedere una grazia, per dire una preghiera, per trovare un po’ di pace. Questo
primo incontro con l’Asia fu per me anche la scoperta che Maria è
Il buddismo lo interroga. Così si chiede all’inizio
del suo servizio in Laos: “Perchè
Seguendo un suo percorso come missionario e come
responsabile (in varie posizioni) della sua congregazione mons. Zago aveva
maturato una posizione molto vicina a quella di Giovanni Paolo II su missione e
dialogo. Non è un caso che questo papa lo volle segretario al Segretariato per
il dialogo con i non cristiani (1983-1986) e poi segretario della Congregazione
per l’evangelizzazione dei popoli (1998-2001). Nell’intermezzo tra i due mandati
era stato superiore generale degli Oblati di Maria Immacolata (sulla vita e la
spiritualità della sua congregazione non mancano in questa antologia alcune
pagine vive e profonde).
Nel dialogo con le religioni mondiali, l’evento di
Assisi, il 27 ottobre 1986, mette in luce la visione di Giovanni Paolo II. È un
punto passaggio e di visibilità, a cui mons. Zago dà un grande contributo. (…)
Mentre l’ombra della morte si stende su di lui,
Marcello Zago guarda al piccolo mondo dell’ambiente romano senza alcuna
superiorità, ma con la sua profonda umanità: “se diamo troppa importanza agli
uomini, alla carriera, la vita è un inferno”, scrive nel 1999. Il pensiero
della morte è ormai suo compagno: “È una prospettiva possibile e rapida per
me”. Ed aggiunge: “Il grande incontro con il Signore è richiamato e si
avvicina. Ora recitare i salmi acquista un nuovo senso. D’altra parte cerco di
fare il mio lavoro nella normalità”. Continua ad essere appassionato alla
Chiesa e alla vita. (…)
Tre anni prima della morte, già consapevole della
gravità della sua malattia, scrive nel suo Diario parole semplici e sintetiche
della sua esperienza: “Lo scopo del mio lavoro è far conoscere Dio e il Cristo,
però in questo clima di carità interiore ed esteriore”.
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