lunedì 1 marzo 2021

Marcello Zago, uomo del dialogo

 


1 marzo 2001: nuore p. Marcello Zago. A vent’anni dalla sua partenza rileggiamo qualche stralcio dell’introduzione che Andrea Riccardi scrisse per il libro che pubblicai nel 2007: Marcello Zago, uomo del dialogo. Un’antologia, Ancora.

Marcello Zago è stato una grande personalità della Chiesa nella seconda metà del Novecento. È una affermazione che può sembrare esagerata, perché questa figura di religioso e di vescovo non ha mai occupato la scena né è mai comparsa sui giornali o nei dibattiti. Eppure mons. Zago ha incarnato i grandi problemi del cattolicesimo sugli scenari del mondo: la missione del Vangelo e il dialogo con le religioni. Ha portato in sé questi problemi con una struttura personale limpida, tutta orientata ad una vita spirituale intensa, come è testimoniata dalle pagine di questa antologia. Nel 1985 scrive: “Il centro del Cristianesimo non è una dottrina, ma Cristo stesso. Diventare o essere cristiano significa accettare la persona di Cristo come ispirazione, centro, norma, sorgente di vita e azione”. Padre Zago è un cristiano vero che, in ogni stagione della sua vita, si pone il problema della sua conversione e del suo cuore.

È figlio di un’Italia povera, quella del secondo dopoguerra, seminarista felice, che sceglie per la vocazione missionaria tra gli Oblati di Maria Immacolata. La missione sgorga dal suo cuore di credente, convinto di dover comunicare il Vangelo. Giovane missionario in Laos, superiore generale della sua congregazione, segretario della Congregazione per evangelizzazione dei popoli, Marcello Zago è sempre abitato dalla stessa passione missionaria. Vuole coinvolgere tutta la Chiesa in questa passione, perché “la missione ad gentes ... –scrive- per la Chiesa non è facoltativa”. Sui piccoli e grandi scenari della sua vita, egli ha sempre presente che il cristiano è mandato al mondo: “Il cristiano non può avere frontiere”.

Il cristiano è un uomo senza frontiere. Questa immagine, che Zago predica, è la realtà della sua vita. Popoli lontani ed estranei alla propria vita, divengono familiari per il missionario. Il metodo è vitale: “Il primo atteggiamento del missionario è quello di amare le persone e i gruppi umani a cui si è invitati, con la loro storia e la loro cultura, i loro valori e anche i loro difetti”. L’amore non è cieco ma si realizza donandosi. Marcello Zago ha vissuto questo dono con amore in Laos dal 1959 al 1966. Comincia a scoprire l’Asia fin dal suo arrivo a Singapore. Qui, andando nel santuario di Maria si rese conto che “tra i numerosi pellegrini c’erano non solo cattolici, ma anche i protestanti, degli indù, dei buddisti e dei musulmani”. E conclude: “tutti andavano da Maria per confidarle una pena, per chiedere una grazia, per dire una preghiera, per trovare un po’ di pace. Questo primo incontro con l’Asia fu per me anche la scoperta che Maria è la Madre dell’umanità intera e non solo la madre di Cristo”.

Il buddismo lo interroga. Così si chiede all’inizio del suo servizio in Laos: “Perchè la Chiesa è assente dal mondo buddista? ... Come annunciare loro il Vangelo?”. Così il suo approccio a questo mondo si fece attento, sensibile, colto. Questo missionario, che opera sul campo, non disprezza la cultura. Sulla scia di una grande tradizione missionaria si mette a studiare. Parla con monaci, gente comune, praticanti. In cinque anni scrive circa 10.000 schede sul buddismo vissuto in Laos, che costituiscono un importante patrimonio etnografico. Bisognava conoscere e farsi conoscere. (…)

Seguendo un suo percorso come missionario e come responsabile (in varie posizioni) della sua congregazione mons. Zago aveva maturato una posizione molto vicina a quella di Giovanni Paolo II su missione e dialogo. Non è un caso che questo papa lo volle segretario al Segretariato per il dialogo con i non cristiani (1983-1986) e poi segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (1998-2001). Nell’intermezzo tra i due mandati era stato superiore generale degli Oblati di Maria Immacolata (sulla vita e la spiritualità della sua congregazione non mancano in questa antologia alcune pagine vive e profonde).

Nel dialogo con le religioni mondiali, l’evento di Assisi, il 27 ottobre 1986, mette in luce la visione di Giovanni Paolo II. È un punto passaggio e di visibilità, a cui mons. Zago dà un grande contributo. (…)

Mentre l’ombra della morte si stende su di lui, Marcello Zago guarda al piccolo mondo dell’ambiente romano senza alcuna superiorità, ma con la sua profonda umanità: “se diamo troppa importanza agli uomini, alla carriera, la vita è un inferno”, scrive nel 1999. Il pensiero della morte è ormai suo compagno: “È una prospettiva possibile e rapida per me”. Ed aggiunge: “Il grande incontro con il Signore è richiamato e si avvicina. Ora recitare i salmi acquista un nuovo senso. D’altra parte cerco di fare il mio lavoro nella normalità”. Continua ad essere appassionato alla Chiesa e alla vita. (…)

Tre anni prima della morte, già consapevole della gravità della sua malattia, scrive nel suo Diario parole semplici e sintetiche della sua esperienza: “Lo scopo del mio lavoro è far conoscere Dio e il Cristo, però in questo clima di carità interiore ed esteriore”.

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