Quando
iniziai a leggere il manoscritto del libro su Gabriella Piccinelli che Rolando
Polzelli avrebbe dovuto pubblicare (L'amore di un sorriso) assunsi il distacco oggettivo del professore abituato a
valutare le tesi di laurea. Cercavo di evitare di incrociare lo sguardo di
Gabriella che tante volte, con i suoi occhi grandi e misteriosi, mi aveva
scrutato con amore e dolcezza, per non lasciarmi coinvolgere affettivamente e
così essere più libero per un giudizio equilibrato.
Per
i primi tre capitoli riuscii a mantenere il dovuto distacco professionale. Sì -
mi dicevo -, è un profilo lineare, essenziale dal quale emerge una figura
schietta, totalitaria, tutta d’un pezzo, proprio un bel tipo. Mi interessava
soprattutto il travaglio vocazionale, indice di una donna esigente, che sa
interpretare la vita in un modo personalissimo.
Ma
dal quarto capitolo in poi non potei più mantenere il distacco dovuto e fui
preso dalla sua esperienza così singolare. La sua vita, che nei primi tre
capitoli appariva tutto sommato ordinaria, a mano a mano che scorrevo le pagine
e si susseguivano le testimonianze e i fatti di vita, si faceva sempre più
straordinaria, espressione di un amore senza misura.
A
30 anni dalla sua morte mi viene ancora da dire: Meno male che, pur avendo
messo il piede in tante istituzioni ecclesiali, Gabriella non ne ha mai fatta
propria nessuna. Allora è vero che si può diventare santi restando
semplicemente cristiani. Si può essere cristiani veri, autenticamente
realizzati anche in uno dei tanti quartieri di Roma. Pur rimanendo una donna
qualunque, una donna come tante, come tutte, con montagne di panni da lavare,
da stirare, con le preoccupazioni per il lavoro, per i figli, si può essere
“unica”.
I santi che la Chiesa ci propone sono per lo più martiri, suore, sacerdoti, persone consacrate, vedove... La beatificazione di Gianna Beretta Motta ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo: anche una donna con marito e figli, presa nell’ingranaggio della vita normale di ogni giorno, può farsi santa! Sono cose che si sanno: tutti i cristiani sono chiamati a diventare santi e tutti possono diventarlo vivendo con interezza il vangelo là dove la volontà di Dio li ha posti. Ma se ne vedono troppo pochi di santi “ordinari”. Ce ne sono tanti di questi “santi anonimi” nei nostri quartieri, ma forse, proprio perché “ordinari”, non sempre sappiamo vederli e riconoscerli.
Quella
di Gabriella è una di quelle “santità” che anche chi non mette mai piede in
Chiesa sa percepire: «La signora Gabriella - dice in due parole Sisto, uno dei
tanti borgatari di Roma -, la sua vita è stata una carità perfetta, di quella
perfezione che viene dal Vangelo». Quest’uomo, che ha conosciuto la droga e la
fatica di tirare su sei figli, ha intuito il segreto di ogni santità: una
carità perfetta!
Ed
è proprio la carità che balza in evidenza a mano a mano che si percorrono le
pagine di quel libro: una carità che si fa sempre più concreta, sempre più limpida,
sempre più disinteressata... sempre più perfetta. Una carità coinvolgente.
Una
carità che non è frutto di una naturale predisposizione. Gabriella era buona
per natura, dolce, piena di affetto... Ma da qui all’amore evangelico ce ne
corre! La vita di Gabriella è stata anche tensione, ribellione, ricerca
sofferta, scontro, lacerazione... Ad amare ha imparato, e a mano a mano a mano
che cresceva nell’amore la sua vita matura, si affina, diventa capacità di
costruire attorno a sé germi di un mondo nuovo.
“Amata”,
l’aveva chiamata Chiara Lubich. Le aveva dato anche una parola del Vangelo come
programma di vita: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io
vi farò riposare». In queste due dimensioni del vivere cristiano si può forse
trovare il segreto di Gabriella: un amore che è frutto dell’essere amata e del
dolore consumato nell’abbraccio con Gesù Crocifisso e Abbandonato.
Gabriella
ci insegna che: Santi non si nasce, santi si diventa. Sì, la santità è davvero
possibile. Si può essere santi anche rimando sulla strada, in casa, senza
bisogno di salire sugli altari. Basta essere amati, amare, insegnare ad amare.
Sono passati 30 anni dalla sua partenza per il cielo... Era il 4 marzo 1991.
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