Dal
Vangelo di Luca passiamo a quello di Giovanni, sempre nell’ascolto delle ultime
parole del Crocifisso.
Delle
tre parole che riporta il Vangelo di Giovanni, la prima è rivolta alla madre: «Donna, ecco
tuo figlio!» (19, 26).
“Donna”.
Così l’aveva chiamata la prima volta che Maria, sua madre, appare nel Vangelo,
alle nozze di Cana (2, 4). Allora, ella anticipava quella sua funzione attiva e
materna che, ai piedi della croce viene pienamente proclamata dal Figlio.
“Donna”,
la chiama adesso quando ella appare per la seconda e l’ultima volta. Non ci sono
altre presenze di Maria in questo Vangelo: è al primo grande segno, quando Gesù
cambia l’acqua in vino, e all’ultimo, quando opera la trasformazione di cui la
prima era segno: la divinizzazione dell’umanità. In entrami i momenti Maria è
là, non solo come testimone, ma a lui associata, come mediatrice.
“Donna”. In questa parola appare tutta la grandezza e la regalità nella quale Gesù vede sua madre. La prima donna, Eva, è la madre dei viventi, Maria, la “donna”, la Nuova Eva, è la madre dei credenti.
Quello
di Gesù è un gesto di profondo affetto filiale. È vero, i figli non dovrebbero
morire prima delle madri. Il mio antico professore, Mauro Làconi, ci insegnava:
«La delicata scena del figlio morente che dedica il suo ultimo pensiero alla madre,
e l’affida all’affezionato discepolo, rimane un prezioso documento di umanità e
di bellezza morale. Documento della totale umanità di Gesù fra i più
convincenti e toccanti, diventa anche documento convincente della realtà dell’Incarnazione.
Giovanni è tutto concentrato nel rivelare la misteriosa trascendenza di Gesù, anche
in croce; eppure non finisce mai di sorprendere con la sua insistenza, in certo
senso più particolareggiata di quella dei sinottici, sulla vera umanità di Gesù».
Il racconto dell’affidamento di Maria al discepolo è un attestato dell’amore di Gesù per lei. Il figlio, che ha amato fino alla fine i suoi, ama fino alla fine anche la madre vivendo con interessa il comando: «Onora tuo padre e tua madre» (Es 20, 12). È anche il riconoscimento della grandezza della “madre di Gesù”, come è chiamata, per ben cinque volte, in così poche righe. È per lei il titolo di gloria.
Gesù
non vuol lasciare la mamma, già vedova, sola e l’affida al discepolo che egli ama.
Tuttavia accanto a lei c’è già la sorella e altre donne di casa. La famiglia
antica, specie in Oriente, era sempre numerosa e Maria non sarebbe comunque rimasta
mai stata sola.
L’intento
di Gesù è ben più alto, va al di là della compassione e della cura filiale, pur
presente. Con le parole dell’affidamento dona a sua madre un’altra famiglia,
quella che egli sta generando in quel momento, e che genera insieme a lei: la
Chiesa. Il discepolo amato – che la tradizione identificherà con l’apostolo Giovanni
– è l’inizio della nuova famiglia di Gesù e di Maria. Ad essa aveva fatto cenno
nelle parole riportate dai Vangeli sinottici quando, rispondendo a chi gli
parlava di sua madre e dei suoi fratelli, il Maestro aveva affermato: «Chi è
mia madre e chi sono i miei fratelli?». Quindi, «girando lo sguardo su coloro
che gli sedevano intorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli!”» (Mc
3, 33-34).
Maria diventa la Madre dei credenti, preziosa eredità che il Figlio affida alla Madre.
La
tradizione ha ritagliato da ogni contorno la presenza di Maria ai piedi della
croce: “stabat”.
Stabat
Mater dolorosa
iuxta
crucem lacrimosa,
dum
pendebat Fílius,
canta
la laude medievale, attribuita a Jacopone da Todi e musicata dai più grandi
compositori.
“Stabat”,
al singolare, quasi a ritrarre la sua solitudine. La solitudine di chi ha nel figlio
il suo tutto e si vede privato di esso. Non soltanto perché gliel’hanno
strappato dall’abbraccio e l’hanno inchiodato sulla croce dove sta morendo. Soprattutto
perché il figlio stesso si sottrae a lei, la stacca da sé e la consegna a un
altro. Lei, madre del Figlio di Dio, si ritrova come figlio un uomo qualunque,
e dunque come una madre qualunque. In questo distacco il segreto della sua corredenzione,
che rivive in sé il distacco che il Figlio sta vivendo nei confronti del Padre.
Chi più di lei vive condivide la passione del suo Figlio in una reale com-passione?
Come nessun altro può ripetere le parole di Paolo: «Io sopporto ogni cosa per
quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in
Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna… Se moriamo con lui, con lui anche
vivremo» (2 Tim 2, 10-11). Nel suo abbandono Gesù genera la Chiesa, e nella sua
desolazione Maria diventa Madre di quella Chiesa che genera con lui perché fatta
altro Gesù.
Chiara
Lubich, affascinata da questo mistero di Maria, la comprende nella sua alta missione:
«Quando la Mamma nella Desolazione, ai piedi della Croce (“Donna, ecco tuo
Figlio...”), perdette l’incarico divino della Maternità divino-umana di Gesù e
divenne – con la discesa dello Spirito Santo – Gesù, cambiò la sua carne
immacolata in carne divina: divenne Gesù nell’anima e nel corpo. Divenne vera
Figlia di Dio, Figlia del suo Figlio, di Gesù Abbandonato cui aveva dato carne
immacolata. E fu al pari di Gesù e potette presiedere il Cenacolo e divenire
Gesù fra gli Apostoli che erano pure, per il sacrificio di Lei, divenuti Gesù:
per il sacrificio di Lei e quindi per aver dato Lei Gesù ed averne ricevuto cento:
Gesù in Sé e Gesù in essi. Quindi gli Apostoli erano immacolatizzati cioè
avevano carne di Maria. Erano figli di Lei nell’anima e nel corpo».
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