Sono circa
1200 le barche ormeggiate a Ripa di Traiano, ma quella sulla quale salgo è unica,
come unico è il capitano e unico il mozzo.
Il
paranco avvicina la barca al molo. Si cala la passerella ed eccomi per la prima
volta su una barca a vela: i sogni prima o poi si avverano, basta avere la
pazienza di aspettare.
La preparazione
per lasciare la banchina si avvia con lentezza, tra cime da slegare e legare,
verifiche, piccole manovre… un rituale minuzioso e necessario. Solo tre metri
dividono la terra dalla barca, e sono due mondi distanti l’uno dall’altro, con
logiche e leggi diverse.
Sono in mani esperte. Posso mettermi comodo e godermi il gioco dell’acqua e del vento, l’alzarsi della randa e lo sciogliersi del fiocco, l’inclinarsi della barca, la terra che si fa piccola piccola e il mare che si dilata e mi abbraccia.
Poi il
silenzio.
“Ecco il mare ampio e spazioso, là
brulicano innumerevoli animali piccoli e grandi; là passano le navi e il
Leviatan che hai plasmato per tuo divertimento” (Salmo 104, 25-26).
Il Leviatan non si è
fatto vedere, in compenso è apparso un delfino…
“Si ara, si pettina
si struscia
contro se stesso
il mare
pizzicato dall’aria,
mordicchiato dal vento
nella verde-azzurra
pelle.
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