mercoledì 8 luglio 2020

Alla scoperta dei santi romani


Santità, bellezza, attualità carismatica. Tre componenti di un itinerario che da due anni porta un gruppo di amici alla scoperta dei santi romani.
Il Covid 19 ha soltanto interrotto l'esperienza. Ricominciamo ad ottobre!
Così sul numero di luglio della rivista Ekklesía

Giuseppe Benedetto Labre, romano d’adozione, come tanti. Mendicante, senza fissa dimora, come tanti a Roma. Abitualmente alloggia sotto il 43° arco del Colosseo come tanti altri poveri. Uno dei “folli” di Dio, che passa di chiesa in chiesa a pregare, ridistribuisce ai poveri le elemosine che riceve, vive più di contemplazione che di pane.
Un pittore francese, André Bley, lo sceglie come modello per la figura di Cristo in un quadro della vocazione di Pietro. In una lettera al fratello racconta che in una strada di Roma aveva incontrato «un giovane mendicante con una piccola barba rossa». Gli era sembrato il volto adatto per il suo Cristo. Gli chiese se voleva posare per lui, ma Benedetto si rifiutò. Il pittore insistette, dicendo che anche lui era francese e che posasse per farli un favore. Allora Benedetto accettò purché bastasse una sola mattina. «Venne, posò come una statua e alla fine della seduta non volle denaro. Sorridendo disse: “Andiamo! Che sia gloria di Dio!”».
Uscendo dalla chiesa di santa Maria ai Monti, il suo più amato punto di riferimento, a due passi dal Colosseo, un giorno Giuseppe Benedetto cade per terra, moribondo. Il macellaio della strada accanto lo raccoglie e lo conduce a casa sua, all’attuale numero 2 di via dei Serpenti, lo porta al primo piano e lo adagia sul letto, dove poco dopo spira. La carità che il santo ha esercitato in vita gli è restituita in punto di morte. Appena si sparge la voce della sua morte, nel quartiere Monti fu tutto un grido: “È morto il santo, è morto il santo!”. Bello, sopra il letto, in quadro che raffigura la Madonna che si toglie l’aureola per porla sulla sua testa.
Le nostre visite ai “santi romani” inizia con questo santo francese, ormai romano d’adozione, come lo siamo la maggioranza dei romani di oggi.
Ad accoglierci, nella stanza dove morì alle fine del 1700, ora trasformata in cappella, le sorelle della “Pro Sanctitate”. Siamo un piccolo gruppo eterogeneo, una ventina di persone che ho raccolto non so neppure io come, lanciando una proposta: “Perché non guardiamo questa nostra Roma con occhi diversi, per scoprire i santi che l’anno fatta bella?”.

La Roma dei santi

Da quando abito a Roma, in città (perché da 50 anni ho sempre vissuto nei suoi dintorni), ho cercato di dare vita a diverse iniziative d’incontro tra amici, tutte un po’ seriose. Adesso mi era nato il desiderio di qualcosa di nuovo, più semplice, fuori degli schemi.
Un’esperienza che vivo da tempo mi ha aperto la strada. Spesso infatti accompagno qualcuno dei miei fratelli Oblati, che vengono a Roma da diverse parti del mondo, a visitare i luoghi frequentati da nostro santo fondatore, Eugenio de Mazenod, quando soggiornava in città.
Roma è sempre Roma, mi piace da morire, ne sono innamorato, ma vista con gli occhi di questo mio santo ha un altro fascino. Roma, «è come un compendio del cristianesimo – scriveva il 6 dicembre 1825, in occasione del suo primo soggiorno, durato sei mesi –. Qui tutto è santo per chi ci viene da autentico pellegrino cristiano; io ci vedo solo gli apostoli, i martiri, i santi confessori di tutti i tempi: non esiste angolo di Roma che non sia un monumento di fede e di devozione… Qui si ritrovano tutti i santi, da S. Pietro fino al beato Benedetto Labre e ad altri più moderni». Ne rimase conquistato. Vi tornò altre cinque volte e sempre andò alla ricerca delle tombe dei santi e dei luoghi del loro passaggio.
Era impressionato dalla bellezza delle chiese: ha lasciato note su una quarantina di quelle visitate. Il suo soggiorno a Roma si trasformò in un continuo pellegrinaggio. Ma amava visitare anche gli antichi monumenti: il Colosseo e il Foro romano, il Panteon, il Corso, Castel Sant’Angelo, la Cappella Sistina, i Musei Vaticani, la Cupola di san Pietro, le Catacombe…
Dall’Aventino, forse dal Giardino degli aranci, ammirava la città: «La vista è deliziosa – annotava nel diario l’8 febbraio 1826 – si vede Roma di fronte e di lato, da un’altezza che fa scoprire punti di vista molto pittoreschi. Il Tevere scorre in basso alla collina e conduce dirimpetto i bastimenti che risalgono questo fiume per venire a caricare le merci a Ripa Grande». Dalla sua stanza aveva una meravigliosa vista su tutta Roma.
Si interessava soprattutto dei santi visitando i luoghi dove essi avevano vissuto: Caterina da Siena, Filippo Neri, Francesca Romana, Francesco Borgia, Giovanni Berchmans, Giuseppe Calasanzio, Giovanni Leonardi, Giuseppe Benedetto Labre, Ignazio di Loyola, Leonardo da Porto Maurizio, Luigi Gonzaga, Paolo della Croce, Stanislao Kostka… Durante le sue visite, a Roma c’erano anche santi viventi come Vincenzo Pallotti, Gaspare del Bufalo, Anna Maria Taigi, Elisabetta Canori Mora... I santi diventarono la sua passione. Ne leggeva le biografie, ne parlava con i religiosi dei rispettivi Ordini.
Lentamente, ho iniziato a imitare sant’Eugenio e ad andare anch’io a scovare i “santi romani” nei luoghi dove hanno vissuto. A Roma i santi e le sante si sprecano, lungo i secoli si sono disseminati su ogni colle, in ogni quartiere, in ogni sua strada.

Bellezza e attualità dei carismi

Due anni fa mi sono chiesto: perché non portare degli amici con me in queste visite? Mi sono proposto tre obiettivi: conoscere un santo – ed è diventato per me un gioco piacevolissimo narrare le loro storie, vere o leggendarie che siano; lasciarsi rapire dall’arte che egli ha suscitato attorno a sé – spesso sono tesori nascosti, lontani dai consueti itinerari turistici; scoprire se il suo carisma è ancora vivo – ed è una sorpresa scoprire “i “santi” di oggi, quante esperienze cristiane ci sono ancora in questa nostra Roma che presenta spesso un volto lontano dalla fede.
Il primo appuntamento è stato il 10 novembre 2018, con orario rigoroso, dalle 16.00 alle 18.00, e il santo scelto San Giuseppe Benedetto Labre, come ho appena raccontato. Ci hanno accolgono alcuni membri del Movimento Pro Sancitatae (i “santi” di oggi), che hanno in custodia quella che fu la casa del macellaio. Riviviamo l’avventura del vagabondo di Dio, entriamo per la prima volta in quelle stanze semplici e belle, ormai con affreschi e dipinti, accogliamo la testimonianza del nuovo Movimento, fondato a Roma nel 1947 dal Servo di Dio Giacomo Giaquinta, condividiamo le nostre esperienze. Ho raggiunto i tre obiettivi che m’ero proposto. Nessuna conferenza, nessuna formalità: un incontro tra amici. Chissà perché alla fine, quando ci lasciamo, siamo così contenti… che non vorremmo lasciarci. “Allora il mese prossimo andiamo a conoscere un altro santo, un altro luogo d’arte, un altro carisma?”.
Il mese successivo siamo raddoppiati di numero. Il passaparola funziona. È la volta dell’oratorio di san Filippo Neri, anche lui romano d’importazione. Non andiamo dove si va abitualmente, alla Chiesa Nuova, ma dove ha vissuto per trent’anni, su in quelle stanzette addossate alla chiesa di san Girolamo alla carità che hanno il sapore di un cenacolo. E questa volta scopriamo un Filippo Neri vivissimo nelle giovanissime sorelle di Flammae Cordis (i “santi” di oggi) di fondazione recentissima. È poi la volta di Santa Francesca Romana nel suo Monastero delle Oblate a Tor de’ Specchi, delle stanze di sant’Ignazio, di san Luigi Gonzaga, della casa di santa Brigida a piazza Farnese e dell’incontro con la comunità delle Brigidine, di San Gregorio Magno, nel suo monastero al Celio, con la testimonianza del monaco Innocenzo Gargano… e avanti ogni mese di santo in santo, di arte in arte, di carisma in carisma.
Particolarmente toccante la visita alla casa di santa Cecilia in Trastevere, al battistero venuto recentemente alla luce, agli affreschi del Cavallini. La storia di Cecilia, del marito, del cognato, del soldato che muore con loro, l’avventura delle reliquie… tutto parla ancora. Di più parla la testimonianza di una delle monache benedettine che vivono nel monastero e che si chiama proprio suor Cecilia: dona la sua testimonianza e sembra di sentire la santa di cui porta il nome.
Nessuna prenotazione, nessun biglietto. Solo la gioia della scoperta e della condivisione della santità e della bellezza.

1 commento:

  1. Grazie padre Fabio. I tuoi incontri 'Alla scoperta dei santi romani' sono molto interessanti e veramente ci si sente un gruppo di amici. È bello sapere che ripartiremo ad ottobre

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