Santità,
bellezza, attualità carismatica. Tre componenti di un itinerario che da due
anni porta un gruppo di amici alla scoperta dei santi romani.
Il Covid 19 ha soltanto interrotto l'esperienza. Ricominciamo ad ottobre!
Così
sul numero di luglio della rivista Ekklesía
Giuseppe Benedetto Labre, romano
d’adozione, come tanti. Mendicante, senza fissa dimora, come tanti a Roma. Abitualmente
alloggia sotto il 43° arco del Colosseo come tanti altri poveri. Uno dei
“folli” di Dio, che passa di chiesa in chiesa a pregare, ridistribuisce ai
poveri le elemosine che riceve, vive più di contemplazione che di pane.
Un pittore francese, André Bley, lo sceglie
come modello per la figura di Cristo in un quadro della vocazione di Pietro. In
una lettera al fratello racconta che in una strada di Roma aveva incontrato «un
giovane mendicante con una piccola barba rossa». Gli era sembrato il volto
adatto per il suo Cristo. Gli chiese se voleva posare per lui, ma Benedetto si
rifiutò. Il pittore insistette, dicendo che anche lui era francese e che
posasse per farli un favore. Allora Benedetto accettò purché bastasse una sola
mattina. «Venne, posò come una statua e alla fine della seduta non volle
denaro. Sorridendo disse: “Andiamo! Che sia gloria di Dio!”».
Uscendo dalla chiesa di santa Maria ai Monti,
il suo più amato punto di riferimento, a due passi dal Colosseo, un giorno
Giuseppe Benedetto cade per terra, moribondo. Il macellaio della strada accanto
lo raccoglie e lo conduce a casa sua, all’attuale numero 2 di via dei Serpenti,
lo porta al primo piano e lo adagia sul letto, dove poco dopo spira. La carità
che il santo ha esercitato in vita gli è restituita in punto di morte. Appena
si sparge la voce della sua morte, nel quartiere Monti fu tutto un grido:
“È morto il santo, è morto il santo!”. Bello, sopra il letto, in quadro che
raffigura la Madonna che si toglie l’aureola per porla sulla sua testa.
Le nostre visite ai “santi romani” inizia
con questo santo francese, ormai romano d’adozione, come lo siamo la
maggioranza dei romani di oggi.
Ad accoglierci, nella stanza dove morì
alle fine del 1700, ora trasformata in cappella, le sorelle della “Pro
Sanctitate”. Siamo un piccolo gruppo eterogeneo, una ventina di persone che ho
raccolto non so neppure io come, lanciando una proposta: “Perché non guardiamo
questa nostra Roma con occhi diversi, per scoprire i santi che l’anno fatta
bella?”.
La
Roma dei santi
Da quando abito a Roma, in città (perché
da 50 anni ho sempre vissuto nei suoi dintorni), ho cercato di dare vita a
diverse iniziative d’incontro tra amici, tutte un po’ seriose. Adesso mi era
nato il desiderio di qualcosa di nuovo, più semplice, fuori degli schemi.
Un’esperienza che vivo da tempo mi ha
aperto la strada. Spesso infatti accompagno qualcuno dei miei fratelli Oblati,
che vengono a Roma da diverse parti del mondo, a visitare i luoghi frequentati
da nostro santo fondatore, Eugenio de Mazenod, quando soggiornava in città.
Roma è sempre Roma, mi piace da morire, ne sono
innamorato, ma vista con gli occhi di questo mio santo ha un altro fascino.
Roma, «è come un compendio del cristianesimo – scriveva il 6 dicembre 1825, in
occasione del suo primo soggiorno, durato sei mesi –. Qui tutto è santo per chi
ci viene da autentico pellegrino cristiano; io ci vedo solo gli apostoli, i
martiri, i santi confessori di tutti i tempi: non esiste angolo di Roma che non
sia un monumento di fede e di devozione… Qui si ritrovano tutti i santi, da S.
Pietro fino al beato Benedetto Labre e ad altri più moderni». Ne rimase
conquistato. Vi tornò altre cinque volte e sempre andò alla ricerca delle tombe
dei santi e dei luoghi del loro passaggio.
Era impressionato dalla bellezza delle chiese: ha lasciato
note su una quarantina di quelle visitate. Il suo soggiorno a Roma si trasformò
in un continuo pellegrinaggio. Ma amava visitare anche gli antichi monumenti:
il Colosseo e il Foro romano, il Panteon, il Corso, Castel Sant’Angelo, la
Cappella Sistina, i Musei Vaticani, la Cupola di san Pietro, le Catacombe…
Dall’Aventino, forse dal Giardino degli aranci,
ammirava la città: «La vista è deliziosa – annotava nel diario l’8 febbraio
1826 – si vede Roma di fronte e di lato, da un’altezza che fa scoprire punti di
vista molto pittoreschi. Il Tevere scorre in basso alla collina e conduce
dirimpetto i bastimenti che risalgono questo fiume per venire a caricare le
merci a Ripa Grande». Dalla sua stanza aveva una meravigliosa vista su tutta
Roma.
Si interessava soprattutto dei santi visitando i
luoghi dove essi avevano vissuto: Caterina da Siena, Filippo Neri, Francesca
Romana, Francesco Borgia, Giovanni Berchmans, Giuseppe Calasanzio, Giovanni
Leonardi, Giuseppe Benedetto Labre, Ignazio di Loyola, Leonardo da Porto
Maurizio, Luigi Gonzaga, Paolo della Croce, Stanislao Kostka… Durante le sue
visite, a Roma c’erano anche santi viventi come Vincenzo Pallotti, Gaspare del
Bufalo, Anna Maria Taigi, Elisabetta Canori Mora... I santi diventarono la sua
passione. Ne leggeva le biografie, ne parlava con i religiosi dei rispettivi
Ordini.
Lentamente, ho iniziato a imitare sant’Eugenio e ad
andare anch’io a scovare i “santi romani” nei luoghi dove hanno vissuto. A Roma
i santi e le sante si sprecano, lungo i secoli si sono disseminati su ogni
colle, in ogni quartiere, in ogni sua strada.
Bellezza
e attualità dei carismi
Due anni fa mi sono chiesto: perché non
portare degli amici con me in queste visite? Mi sono proposto tre obiettivi:
conoscere un santo – ed è diventato per me un gioco piacevolissimo narrare le
loro storie, vere o leggendarie che siano; lasciarsi rapire dall’arte che egli
ha suscitato attorno a sé – spesso sono tesori nascosti, lontani dai consueti
itinerari turistici; scoprire se il suo carisma è ancora vivo – ed è una
sorpresa scoprire “i “santi” di oggi, quante esperienze cristiane ci sono
ancora in questa nostra Roma che presenta spesso un volto lontano dalla fede.
Il primo appuntamento è stato il 10 novembre 2018, con orario rigoroso,
dalle 16.00 alle 18.00, e il santo scelto San Giuseppe Benedetto Labre, come ho
appena raccontato. Ci hanno accolgono
alcuni membri del Movimento Pro Sancitatae (i “santi” di oggi), che hanno in
custodia quella che fu la casa del macellaio. Riviviamo l’avventura del
vagabondo di Dio, entriamo per la prima volta in quelle stanze semplici e
belle, ormai con affreschi e dipinti, accogliamo la testimonianza del nuovo
Movimento, fondato a Roma nel 1947 dal Servo di Dio Giacomo Giaquinta,
condividiamo le nostre esperienze. Ho raggiunto i tre obiettivi che m’ero
proposto. Nessuna conferenza, nessuna formalità: un incontro tra amici. Chissà
perché alla fine, quando ci lasciamo, siamo così contenti… che non vorremmo
lasciarci. “Allora il mese prossimo andiamo a conoscere un altro santo, un
altro luogo d’arte, un altro carisma?”.
Il mese successivo siamo
raddoppiati di numero. Il passaparola funziona. È la volta dell’oratorio di san
Filippo Neri, anche lui romano d’importazione. Non andiamo dove si va
abitualmente, alla Chiesa Nuova, ma dove ha vissuto per trent’anni, su in
quelle stanzette addossate alla chiesa di san Girolamo alla carità che hanno il
sapore di un cenacolo. E questa volta scopriamo un Filippo Neri vivissimo nelle giovanissime
sorelle di Flammae Cordis (i “santi” di
oggi) di fondazione recentissima. È poi la volta di Santa Francesca Romana nel suo Monastero delle Oblate a Tor
de’ Specchi, delle stanze di sant’Ignazio, di san Luigi Gonzaga, della casa di
santa Brigida a piazza Farnese e dell’incontro con la comunità delle Brigidine,
di San Gregorio Magno, nel suo monastero
al Celio, con la testimonianza del monaco Innocenzo Gargano… e avanti ogni mese
di santo in santo, di arte in arte, di carisma in carisma.
Particolarmente toccante la visita alla
casa di santa Cecilia in Trastevere, al battistero venuto recentemente alla
luce, agli affreschi del Cavallini. La storia di Cecilia, del marito, del
cognato, del soldato che muore con loro, l’avventura delle reliquie… tutto
parla ancora. Di più parla la testimonianza di una delle monache benedettine
che vivono nel monastero e che si chiama proprio suor Cecilia: dona la sua
testimonianza e sembra di sentire la santa di cui porta il nome.
Nessuna prenotazione, nessun biglietto.
Solo la gioia della scoperta e della condivisione della santità e della
bellezza.
Grazie padre Fabio. I tuoi incontri 'Alla scoperta dei santi romani' sono molto interessanti e veramente ci si sente un gruppo di amici. È bello sapere che ripartiremo ad ottobre
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