Cosa ho imparato da questi mesi
difficili? (parlo al singolare perché non ho la pretesa di interpretare
l’umanità e perché l’apprendimento è un processo collettivo, frutto di
condivisione di esperienze e convinzioni).
L’epidemia è stata una lente
d’ingrandimento. Abbiamo avuto, finalmente, il tempo di fermarci e di guardarci,
dentro e attorno. Ed è scattato un “di più”. I cattivi sono diventati più
cattivi: tempo propizio per accentuare usura, violenza, organizzazione
malavitosa, egoismo. I buoni sono diventati più buoni: si è attivata una
inaspettata attenzione a chi è nel bisogno, con generosità e altruismo, creando
una fitta rete di aiuto. Abbiamo anche scoperto, con gioia, che sono molto più
numerosi i buoni dei cattivi. Tutto senza falsi manicheismi perché il confine tra
buono e cattivo passa nel cuore di ogni persona.
La calamità non rende automaticamente
più buoni. Quando il libro dell’Apocalisse descrive le grandi catastrofi che hanno
colpito l’umanità dice che essa non si convertì dagli omicidi, stregonerie,
ruberie, anzi, “gli uomini bestemmiarono Dio a causa dei flagelli”.
Ad essere più buoni occorre imparare
(chiedo scusa per l’uso di questa parola, “buono”, un po’ vintage, che pure è
semplice e subito comprensibile, senza che abbia niente a che fare con il
“buonismo”, una sua caricatura). Imparare da quanto abbiamo vissuto a:
- coltivare l’interiorità, con ritmi più
distesi, meno frenetici, perché ogni azione, per essere efficace, deve
scaturire dal silenzio, dall’ascolto di “quella voce” che parla dentro, dal
dialogo;
- dedicarsi alle relazioni, superando la
diffidenza nata in questo periodo, nella consapevolezza
che la vita si realizza solo in un amore che si apre alla comunione e al dono;
- farsi vicini e rendersi responsabili, in maniera fattiva e
creativa, verso chi è in difficoltà e non soltanto economica;
- rendere essenziali i consumi,
scoprendo la ricchezza della sobrietà.
“Andrà tutto bene”, abbiamo ripetuto con
uno slogan pieno di ottimismo. Forse sarebbe più opportuno il detto che Paolo
di Tarso suggeriva ai Romani: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”,
passando dall’ottimismo alla speranza.
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