martedì 7 luglio 2020

Cosa ho imparato da questi mesi difficili?


Cosa ho imparato da questi mesi difficili? (parlo al singolare perché non ho la pretesa di interpretare l’umanità e perché l’apprendimento è un processo collettivo, frutto di condivisione di esperienze e convinzioni).
L’epidemia è stata una lente d’ingrandimento. Abbiamo avuto, finalmente, il tempo di fermarci e di guardarci, dentro e attorno. Ed è scattato un “di più”. I cattivi sono diventati più cattivi: tempo propizio per accentuare usura, violenza, organizzazione malavitosa, egoismo. I buoni sono diventati più buoni: si è attivata una inaspettata attenzione a chi è nel bisogno, con generosità e altruismo, creando una fitta rete di aiuto. Abbiamo anche scoperto, con gioia, che sono molto più numerosi i buoni dei cattivi. Tutto senza falsi manicheismi perché il confine tra buono e cattivo passa nel cuore di ogni persona.
La calamità non rende automaticamente più buoni. Quando il libro dell’Apocalisse descrive le grandi catastrofi che hanno colpito l’umanità dice che essa non si convertì dagli omicidi, stregonerie, ruberie, anzi, “gli uomini bestemmiarono Dio a causa dei flagelli”.
Ad essere più buoni occorre imparare (chiedo scusa per l’uso di questa parola, “buono”, un po’ vintage, che pure è semplice e subito comprensibile, senza che abbia niente a che fare con il “buonismo”, una sua caricatura). Imparare da quanto abbiamo vissuto a:
- coltivare l’interiorità, con ritmi più distesi, meno frenetici, perché ogni azione, per essere efficace, deve scaturire dal silenzio, dall’ascolto di “quella voce” che parla dentro, dal dialogo;
- dedicarsi alle relazioni, superando la diffidenza nata in questo periodo, nella consapevolezza che la vita si realizza solo in un amore che si apre alla comunione e al dono;
- farsi vicini e rendersi responsabili, in maniera fattiva e creativa, verso chi è in difficoltà e non soltanto economica;

- rendere essenziali i consumi, scoprendo la ricchezza della sobrietà.
“Andrà tutto bene”, abbiamo ripetuto con uno slogan pieno di ottimismo. Forse sarebbe più opportuno il detto che Paolo di Tarso suggeriva ai Romani: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”, passando dall’ottimismo alla speranza.

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