Papa Francesco, coerente con il proprio nome, affrontando il tema ecologico, ha additato, come paradigmatico, il rapporto di san Francesco con la natura. È significativo, anche se non lo si rileva esplicitamente, che il santo d’Assisi, nella sua irripetibile unicità, è pur sempre un “religioso”. La lettera Laudato si’ lo indica come punto di partenza per una nuova coscienza cosmologica, eppure il rapporto dei “consacrati” con la natura inizia con la nascita stessa del monachesimo, che fa “fiorire il deserto”: quei luoghi aridi e solitari vennero ingentiliti dalla presenza di monaci e monache.
Da allora il
monachesimo ha continuato a prendersi cura del creato. Basterà ricordare cosa
hanno rappresentato nella storia dell’agricoltura i monasteri di Bobbio,
Pomposa, Farfa, solo per restare in Italia, oppure l’apporto dato alla
silvicoltura e alle scienze forestali da Camaldoli a Vallombrosa. I monaci
hanno piantato foreste e curato pascoli, incanalato acque e prosciugato paludi,
bonificato terreni incolti e favorito nuove colture, insegnando a popolazioni
intere le tecniche agronomiche e il senso del lavoro, in obbedienza a Dio che
ha affidato la terra all’uomo. Di qui la «cura del lavoro ben fatto» come
impone la Regola benedettina.
I primi monaci a
coltivare la vite furono probabilmente i Pacomiani nel IV secolo, in Egitto,
presto seguiti dai Basiliani. Ma fu soprattutto l’Occidente a vedere il grande
sviluppo della viticoltura. In Italia il Chianti, il Greco di Tufo, il Cirò,
sono vini benedettini; sono camaldolesi i vini Bardolino, Frascati, Colli
Euganei. In Francia fu un benedettino, dom Pierre Pérignon, a produrre nel 1698
il moderno champagne inventando il metodo champenoise per
arrestare la seconda fermentazione. Assieme alla cura della terra, che forniva
gli alimenti per il sostentamento proprio e dei poveri, monaci e religiosi si
sono dedicati alla cura del corpo e della mente delle persone che vivevano
attorno a loro, sviluppando la scienza delle erbe e la farmacopea. Tutto questo
ha favorito e sviluppato l’amore e il rispetto per natura.
Poi è arrivato il
progresso tecnologico, basato sull’equivoco che si potessero usare le risorse
della natura in modo illimitato. Più ancora l’equivoco di fondo riguarda il
concetto stesso di sfruttamento della natura inteso come possibilità e
positività di una crescita indefinita del potere dell’uomo sulle cose.
L’incidenza delle
attività dell’umanità nel suo insieme sul pianeta assume, secondo alcune
ipotesi, i caratteri di una nuova era geologica. È un vero e proprio
cambiamento del sistema-terra dovuto all’epoca industriale, che ha prodotto una
grande accelerazione in molti processi planetari, destinato a lasciare
un’impronta plurisecolare.
Finalmente si è preso
coscienza che il problema ecologico è fondamentalmente un problema etico, un
problema di rapporto di noi uomini e donne con la natura, un problema che
riguarda il nostro modo di agire. Dalla cosiddetta “cosmologia classica”, che vede
l’uomo distinto dal creato e come suo dominatore, si è passati alla cosiddetta
“nuova cosmologia”, una concezione olistica, vede l’uomo come parte del creato,
sua ultima e massima espressione, autocoscienza del cosmo. Il primo modello ha
favorito la scienza e la tecnica con le conseguenze nefaste che hanno portato
al degrado della terra. Il secondo dovrebbe favorire un nuovo approccio alle
realtà cosmiche, aiutando a prendere coscienza della profonda interdipendenza
che lega umanità e cosmo.
Finalmente si
rileggere in modo nuovo il racconto biblico della creazione che, contrariamente
a questo si è a lungo pensato, non dà assolutamente facoltà di sopraffazione
sulla natura. Il verbo ebraico masal, che traduciamo con dominare,
significa piuttosto governare, amministrare. Ossia l’uomo e la donna sono amministratori di una realtà di cui non
sono i padroni. Il creato è opera di Dio, è di Dio, e Dio nel suo amore lo dona
alle persone umane. Queste non possono allungare la mano sul mondo e dire “è
mio”. Esse piuttosto si vedono porgere il mondo dalla mano di un Altro che gli
dice “è per te”. L’umanità si vede consegnare un’opera meravigliosa. Al termine
di ogni tappa della creazione il racconto della Genesi afferma: «E Dio vide che
era buona». Il significato della parola ebraica tob non significa solo buono, ma anche bello, utile, vero,
affascinante, dolce... Questa parola è ripetuta per sette volte. Essendo il
numero sette, simbolo della perfezione, indica l’armonia perfetta del mondo
voluto da Dio.
Consegnando il cosmo
all’umanità Dio ha voluto renderla responsabile dell’intera natura. Ha fatto
l’uomo e la donna a immagine e somiglianza sua proprio perché potessero essere
i suoi collaboratori e con lui continuare a diffondere la vita. Il lavoro
dell’uomo non è dunque lo sfruttamento arbitrario delle risorse della terra, ma
la custodia del mondo, una custodia sempre creativa. Tanto più che egli stesso
è stato plasmato con la terra del suolo: è parte del cosmo, della materia. All’idea del dominium subentra il
tema della responsabilità ambientale. «Non è la Terra che è stata affidata a
noi – direbbe Jürgen Moltmann –,
ma noi siamo stati affidati alla Terra».
Papa Francesco ha criticato la tesi della “supremazia” sfrenata ed
arbitraria dell’uomo sulla natura, sottolineando che «oggi dobbiamo rifiutare
con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di
soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature»
(Laudato si’, n. 67);
ha denunciato il «sogno prometeico di dominio sul mondo», mentre «invece
l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore
dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile» (n.
116). Già prima, nel 1997, il patriarca ortodosso Bartolomeo I aveva definito
“peccato” qualunque crimine commesso contro il mondo naturale e Giovanni Paolo
II nel 2000 aveva parlato della “fraternità con tutte le cose create”. (continua/1)
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