In questo periodo i preti si stanno riscattando da
un certo torpore. Quando improvvisamente si sono trovati le chiese vuote, si
sono chiesti che senso avesse il loro ministero e sono stati costretti a
ripensare la missione e a inventare qualcosa di nuovo, sprigionando una
impensata creatività.
Non si tratta soltanto di mandare la messa in streaming,
ma di un contatto più ravvicinato – paradossale in questo tempo di isolamento –
con il popolo di Dio loro affidato: iniziative per la catechesi ai bambini,
trovando linguaggi e gesti adeguati come testimoniano i video in circolazione;
organizzazione di assistenza a domicilio delle persone sole, povere, ammalate o
comunque bisognose; chiamate telefoniche personalizzate… Il mio parroco la
Domenica delle palme passerà per le strade a benedire i rami di olivo (in
parrocchia si stanno ingegnando per procurarli e distribuirli) che saranno
agitati dalle finestre… e così si supplisce anche alla benedizione delle case e
delle famiglie!
Che sia l’inizio per cercare – anche una volta
passata la pandemia – forme nuove di pastorale?
Anche per i laici questo periodo può trasformarsi
in un tempo di grazia.
Quando giorni fa ho scritto: “La prima volta senza
la messa, ma non senza Gesù”,
il mio blog ha avuto un’impennata: 2500 visite,
tante per il mio abituale giro di lettori; non sono certo un influencer!
Che sia davvero l’occasione per riscoprire il
sacerdozio dei fedeli?
Forse ci siamo adagiati troppo sui sacramenti, essenziali,
indispensabili per la vita cristiana, nessuno lo mette in discussione.
Ma fare della casa e della famiglia e del vicinato una
chiesa domestica è un’altra cosa.
L’aveva ricordato il Concilio Vaticano II (ormai si
perde nei tempi), quando afferma che nella famiglia, “che si potrebbe chiamare
Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri
della fede”.
Invitava i cristiani laici ad “offrire se stessi
come vittima viva, santa, gradevole a Dio” e a rendere “dovunque testimonianza
di Cristo”, esercitando così “il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con
la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione
e la carità operosa” (Lumen gentium, 11).
“Col ricevere i sacramenti”, innanzitutto. Almeno uno
l’abbiamo già ricevuto tutti, il battesimo, ed è proprio quello che ci abilita
ad essere “sacerdoti”, anche e soprattutto in mancanza di preti.
Bene il catechismo in parrocchia, ma questi giorni
di chiusura forzata ci ricordano che forse la prima catechesi va fatta proprio
in casa, da genitori, da nonni, zii…
C’è la preghiera dell’Eucaristia, ma c’è anche la
preghiera del mattino, della sera, quella prima dei pasti, il rosario… Non
potremmo riscoprire la preghiera domestica?
L’offerta sacerdotale è molto più vasta e profonda,
come ricorda il Concilio, che non fa altro che riprendere il dettato biblico:
- “offrire se stessi come vittima viva, santa,
gradevole a Dio”. Il dolore della separazione, della mancanza della scuola,
dell’insicurezza economica, della vicinanza forse mai così stretta e prolungata
con persone di casa ammalate, anziane, con problemi fisici e psichici, non è la
prima e più grande offerta del nostro sacerdozio? Non ci pone in una comunione
nuova e consapevole con l’offerta di Gesù sacerdote che si offre sulla croce?
Non sono queste le nostre croci?
- rendere “dovunque testimonianza di Cristo”.
Forse mai come in questi giorni le persone sono disposte ad ascoltare, hanno
bisogno di essere ascoltate, cercano qualcosa di essenziale e di vero. Perché
non approfittare per trasmettere la nostra esperienza di Vangelo, ciò in cui
crediamo?
- esercitare il sacerdozio “con la testimonianza
di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa”. Forse potremo
scoprire la nostra dimensione sacerdotale nel lavoro in ospedale, in quelli più
umili che assicurano i servizi sociali essenziali, nell’attenzione alle persone
più bisognose…
Dovremo aspettare di tornare in chiesa per esercitare
il nostro servizio sacerdotale? Speriamo di tornare in chiesa, più numerosi di
prima, e riscoprire la bellezza e la preziosità dell’Eucaristia, della comunità
cristiana, del servizio dei preti… Nel frattempo possiamo imparare ad
esercitare il nostro essere sacerdoti con una creatività mai sperimentata prima
d’ora.
Chissà quante esperienze positive potremo
raccontarci.
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