Il
Vangelo di Marco si interrompe misteriosamente con l’annuncio dell’angelo alle
donne. Il racconto prosegue comunque con un testo del II secolo, accolto dalla
Chiesa come ispirato e parte integrante del Vangelo.
Secondo
questa aggiunta, il Risorto si rende visibile a Maria di Magdala, ad altre due persone
in cammino verso la campagna e finalmente agli Undici.
È bello
come questi vengono designati al versetto 16, 10: “quanti erano stati con lui”.
È il senso vero del discepolato: stare con Gesù. Era quello che Gesù voleva fin dall’inizio
quando li chiamò a sé “perché stessero con lui” (3, 14). Lo era per gli Undici,
lo è per noi oggi.
Gesù li
trova a tavola, quasi a ricordare a tutti i cristiani, che il luogo
d’eccellenza per incontrare il Risorto è la mensa del Signore, quando la
comunità si ritrova insieme per spezzare il pane.
A loro
egli rivolge la parola:
“Andate
in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”.
Il luogo
angusto nel quale i discepoli si sono rifugiati si spalanca sul mondo intero.
Ripiegati su se stessi, “in lutto e in pianto”, vengono ora liberati e partono,
andando dappertutto, senza più paura, perché “il Signore agiva insieme con
loro” (16, 20).
È
l’attuazione della promessa con cui si era chiuso il Vangelo di Matteo: “Ecco,
io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (28, 20).
Anche il
mandato di Marco ha, nel testo greco, per due volte la parola “tutto”: tutto il
mondo, tutta la creazione.
Nel
Vangelo di Matteo Gesù inviava ad andare a “tutte le nazioni”, adesso
l’orizzonte si dilata su “tutte le creature”. Il Risorto è Signore di tutto il
creato: tutto è stato fatto per mezzo di lui e in vista di lui e tutto è
destinato ad essere ricapitolato in lui (Ef 1, 10). A lui appartiene “il
primato su tutte le cose”, e al Padre piacque “riconciliare [in lui] tutte le
cose” (Col 1, 19-20). Paolo lo aveva ben capito: il suo vangelo “è stato
annunciato in tutta la creazione” (Col 1, 23).
Non a
caso in questo brano di Vangelo, Marco chiama il Risorto: “Signore Gesù” (16,
19), unica volta in tutti i Vangeli. Egli è davvero il Signore della gloria,
che riempie di sé “tutto il creato”.
“Chi
crederà e sarà battezzato sarà salvo – continua Gesù –, ma chi non crederà sarà
condannato” (16, 16).
Fede e
battesimo, adesione piena alla morte e risurrezione di Gesù, sono la nostra
salvezza, ci introducono nel mondo nuovo, nella nuova creazione operata dal
Signore.
Condanna
a chi rifiuta l’annuncio della risurrezione.
È il
dramma della lotta tra luce e tenebre, tra vita e morte: “Chi crede in lui non
è condannato; ma chi non crede è già condannato” (Gv 3, 17).
“E questi
saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome
scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i
serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le
mani ai malati e questi guariranno” (16, 17-18).
Sono
promessi cinque miracoli. Alcuni li ritroviamo già lungo gli Atti degli
Apostoli: la cacciata di demòni (Atti 5, 16; 8, 7; 19, 12), il parlare
le lingue (Atti 2, 4.11), la liberazione da veleno e serpenti (Atti
28, 3-6), la guarigione dei malati (Atti 5, 16; 19, 11-12).
Al di là
dei singoli episodi, Gesù invita ad operare “nel mio nome”, quel nome “che è al
di sopra di ogni altro nome”, davanti al quale “ogni ginocchio si piega nei
cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2, 9-10). Ancora una volta Gesù
si mostra Signore della storia e del creato. Niente è impossibile se è compiuto
nel suo nome, se è lui che opera in noi.
Egli è
presente nei suoi inviati, nella Chiesa di ieri e di oggi. Salito al cielo e assiso
alla destra del Padre, egli rimane con noi e opera in noi: “il Signore agiva
insieme con loro”.
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