martedì 21 aprile 2020

Le parole del Risorto / 4



Il Vangelo di Marco si interrompe misteriosamente con l’annuncio dell’angelo alle donne. Il racconto prosegue comunque con un testo del II secolo, accolto dalla Chiesa come ispirato e parte integrante del Vangelo.
Secondo questa aggiunta, il Risorto si rende visibile a Maria di Magdala, ad altre due persone in cammino verso la campagna e finalmente agli Undici.
È bello come questi vengono designati al versetto 16, 10: “quanti erano stati con lui”. È il senso vero del discepolato: stare con Gesù.  Era quello che Gesù voleva fin dall’inizio quando li chiamò a sé “perché stessero con lui” (3, 14). Lo era per gli Undici, lo è per noi oggi.
Gesù li trova a tavola, quasi a ricordare a tutti i cristiani, che il luogo d’eccellenza per incontrare il Risorto è la mensa del Signore, quando la comunità si ritrova insieme per spezzare il pane.
A loro egli rivolge la parola:

“Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”.
Il luogo angusto nel quale i discepoli si sono rifugiati si spalanca sul mondo intero. Ripiegati su se stessi, “in lutto e in pianto”, vengono ora liberati e partono, andando dappertutto, senza più paura, perché “il Signore agiva insieme con loro” (16, 20).
È l’attuazione della promessa con cui si era chiuso il Vangelo di Matteo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (28, 20).
Anche il mandato di Marco ha, nel testo greco, per due volte la parola “tutto”: tutto il mondo, tutta la creazione.
Nel Vangelo di Matteo Gesù inviava ad andare a “tutte le nazioni”, adesso l’orizzonte si dilata su “tutte le creature”. Il Risorto è Signore di tutto il creato: tutto è stato fatto per mezzo di lui e in vista di lui e tutto è destinato ad essere ricapitolato in lui (Ef 1, 10). A lui appartiene “il primato su tutte le cose”, e al Padre piacque “riconciliare [in lui] tutte le cose” (Col 1, 19-20). Paolo lo aveva ben capito: il suo vangelo “è stato annunciato in tutta la creazione” (Col 1, 23).
Non a caso in questo brano di Vangelo, Marco chiama il Risorto: “Signore Gesù” (16, 19), unica volta in tutti i Vangeli. Egli è davvero il Signore della gloria, che riempie di sé “tutto il creato”.

“Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo – continua Gesù –, ma chi non crederà sarà condannato” (16, 16).
Fede e battesimo, adesione piena alla morte e risurrezione di Gesù, sono la nostra salvezza, ci introducono nel mondo nuovo, nella nuova creazione operata dal Signore.
Condanna a chi rifiuta l’annuncio della risurrezione.
È il dramma della lotta tra luce e tenebre, tra vita e morte: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già condannato” (Gv 3, 17).

“E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (16, 17-18).
Sono promessi cinque miracoli. Alcuni li ritroviamo già lungo gli Atti degli Apostoli: la cacciata di demòni (Atti 5, 16; 8, 7; 19, 12), il parlare le lingue (Atti 2, 4.11), la liberazione da veleno e serpenti (Atti 28, 3-6), la guarigione dei malati (Atti 5, 16; 19, 11-12).
Al di là dei singoli episodi, Gesù invita ad operare “nel mio nome”, quel nome “che è al di sopra di ogni altro nome”, davanti al quale “ogni ginocchio si piega nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2, 9-10). Ancora una volta Gesù si mostra Signore della storia e del creato. Niente è impossibile se è compiuto nel suo nome, se è lui che opera in noi.
Egli è presente nei suoi inviati, nella Chiesa di ieri e di oggi. Salito al cielo e assiso alla destra del Padre, egli rimane con noi e opera in noi: “il Signore agiva insieme con loro”.


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