La liturgia di oggi ci offre proprio la lettura della
Parola di vita di settembre: “Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è
di Dio” (1 Cor 3, 22-23)
Siamo nella comunità dei cristiani di Corinto,
vivacissima, piena di iniziative, animata al suo interno da gruppi legati a
differenti guide carismatiche. Da qui anche tensioni tra persone e gruppi,
divisioni, culto della personalità, desiderio di primeggiare.
Paolo interviene con decisione ricordando a tutti che,
nella ricchezza e varietà di doni e leader che la comunità possiede, qualcosa
di molto più profondo li lega in unità: l’appartenenza a Dio.
Risuona, ancora una volta, il grande annuncio
cristiano: Dio è con noi, e noi non siamo spaesati, orfani, abbandonati a noi
stessi, ma, figli suoi, siamo suoi. Come un vero padre egli ha cura di
ciascuno, senza farci mancare niente di quanto occorre per il nostro bene. Anzi
è sovrabbondante nell’amore e nel dono: “Tutto vi appartiene – come afferma
Paolo – il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è
vostro!”. Ci ha donato addirittura suo Figlio, Gesù. Che fiducia immensa da
parte di Dio nel porre ogni cosa nelle nostre mani!
Quante volte abbiamo invece abusato dei suoi doni: ci
siamo creduti padroni del creato fino a saccheggiarlo e deturparlo, padroni dei
nostri fratelli e sorelle fino a schiavizzarli e massacrarli, padroni delle
nostre vite fino a sciuparle nel narcisismo e nel degrado.
Il dono immenso di Dio – “Tutto è vostro” – domanda
gratitudine. Spesso ci lamentiamo per quanto non abbiamo o ci rivolgiamo a Dio
soltanto per chiedere. Perché non guardarci attorno
e scoprire il bene e il bello da cui
siamo circondati? Perché non dire grazie a Dio per quanto ci dona ogni giorno?
Il “tutto è vostro” è anche una responsabilità. Essa richiede da noi premura,
tenerezza, cura per quanto ci è affidato: il mondo intero e ogni essere umano;
la stessa cura che Gesù ha per noi (“voi siete di Cristo”), la stessa che il
Padre ha per Gesù (“Cristo è di Dio”).
Dovremmo saper
gioire con chi è nella gioia e piangere con chi è nel pianto, pronti a
raccogliere ogni gemito, divisione, dolore, violenza, come qualcosa che ci
appartiene, condividerla, fino a trasformarla in amore. Tutto ci è donato perché
lo portiamo a Cristo, ossia alla pienezza di vita, e a Dio, ossia alla sua meta
finale, ridando ad ogni cosa e ad ogni persona la sua dignità e il suo
significato più profondo.
Un giorno,
nell’estate 1949, Chiara Lubich avvertì un’unità tale con Cristo da
sentirsi legata a lui come sposa allo Sposo. Le venne allora da pensare alla
dote che avrebbe dovuto portare in dono e comprese che doveva essere tutta la
creazione! Da parte sua egli avrebbe portato a lei in eredità tutto il
Paradiso. Ricordò allora le parole del Salmo: “Chiedimi e ti darò per tua
eredità tutte le genti, per tuoi possessi fino agli ultimi confini della
terra…” (cf Sal 2,8).
«Credemmo e chiedemmo e ci diede tutto
da portar a Lui ed Egli ci darà il Cielo: noi il creato, Egli l’Increato».
Verso la fine
della vita, parlando del Movimento a cui aveva dato vita e nel quale rivedeva
se stessa, Chiara Lubich così scrisse: «E quale il mio ultimo desiderio ora e
per ora? Vorrei che l’Opera di Maria [il Movimento dei Focolari], alla fine dei
tempi, quando, compatta, sarà in attesa di apparire davanti a Gesù
abbandonato-risorto, possa ripetergli – facendo sue le parole che sempre mi commuovono
del teologo francese Jacques Leclercq: “…
il tuo giorno, mio Dio, io verrò verso di Te… Verrò verso di Te, mio Dio (…) e
con il mio sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia”».
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