Nella festa del beato Paolo VI ho pregato con il suo “Pensiero alla morte”, il suo congedo da questo mondo, un testo della stessa levatura modale del suo autore.
Mi ha colpito
soprattutto l’ultimo saluto alla Chiesa, ad ognuno dei suoi membri e mi sono
sentito compreso, abbracciato dal suo amore grande.
Non posso non
ricordare con gratitudine il servizio da lettore prima e poi da diacono in san
Pietro e nella Cappella Sistina e infine la concelebrazione sul lago di Albano,
quando ci disse che l’hanno successivo non sarebbe stato più tra noi.
Gli chiedo il suo
stesso amore tenace e discreto per la Chiesa:
… la Chiesa. Potrei
dire che sempre l'ho amata; (…) e che per essa, non per altro, mi pare d'aver
vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di
dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all'estremo momento della
vita si ha il coraggio di fare.
Vorrei finalmente
comprenderla tutta nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino
finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e
imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle
debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici,
e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo
mistico di Cristo.
Vorrei
abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo
e sacerdote che l'assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra;
benedirla. Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio, con
essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei
Santi. (…)
Uomini, comprendetemi; tutti
vi amo nell'effusione dello Spirito Santo, ch'io, ministro, dovevo a voi
partecipare. Così vi guardo, così vi saluto, così vi benedico. Tutti. E voi, a
me più vicini, più cordialmente. La pace sia con voi. (…)
Amen. Il Signore viene. Amen.
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