“Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia
pecora, quella che si era perduta”.
“Rallegratevi con me, perché ho trovato la
moneta che avevo perduto”.
“Bisognava far festa e rallegrarsi, perché
questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato
ritrovato”.
È scandaloso il tuo modo di agire. Perché tanta
vicinanza e familiarità con i peccatori? Il peggio è che il tuo comportamento rivela
l’agire del Padre, un Dio ricco di misericordia e grande nell’amore. Nei
confronti dei cattivi vorremmo un Dio più severo, meno padre, che giudica con
rigore, anche un po’ vendicativo, come affermano indirettamente scribi e
farisei e apertamente il figlio maggiore nella parabola del padre
misericordioso.
Recriminazioni di chi si sente nel giusto e
pensa che i peccatori siano gli altri. Che siano puniti, loro.
Ma se lui dovesse agire così con peccatori e i
cattivi, che ne sarebbe di noi peccatori?
Sono io la pecora smarrita, io la dramma perduta,
io il figlio che si è allontanato da casa.
Sono io colui che il pastore e la donna cercano
con ansia e attenzione, che il padre attende con trepidazione. Anche Paolo ne
era convinto: « Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo
dei quali sono io» (1 Tm 1, 15).
Ancora una volta ci mostri il volto del Padre e
la missione che egli ti ha affidato: cercare ciò che è perduto, riportare a
casa chi ti ha voltato le spalle.
Nelle tue parabole l’attenzione è tutta sul
pastore, sulla donna, sul padre. Non c’è bisogno che tu ci dica che siamo
peccatori. C’è bisogno che tu riveli la tua passione per noi peccatori.
Vuoi farci sapere con quanta attenzione, cura e
affetto ci cerchi e come gioisci una volta che ci hai ritrovato.
Il pastore è tutto contento, una volta trovata
la pecora smarrita, e condivide la gioia con gli amici. Anche la donna invita
le vicine a rallegrarsi. Il padre organizza una festa per il figlio ritrovato.
Incredibile: mi dai la possibilità di far
contento te, che sei Dio!
Allora mi lascerò trovare, tornerò a casa... per
darti gioia!
E' bello sapere da te che proprio quando sono lontano dal Padre, quando ho rotto il rapporto semplicemente sfiduciando la tua Provvidenza, piegandomi al pessimismo del peggio imperante, rintanandomi nel guscio ritagliatomi nella società senza provare più il disgusto e la ferita dell'ingiustizia e dell'iniquità dominanti, sapere che tu mi aspetti con ansia, che tutti i giorni sali sulla terrazza della tua casa per vedere se appaio di lontano. Quante volte sono stato in terra straniera, dalle creature anche vicine a mendicare amore, ma come per l'antieroe del tuo racconto, d'esser rimasto a bocca asciutta, nella fame e nella sete. Tornerò da Te ogni volta che questa diaspora m'apparirà insopportabile e tu sempre mi riabbraccerai senza rimproverarmi troppo d'aver patito anche tu per la mia mancanza. Non m'importa se non avrò più diritto all'eredità, se dovrò lavorare nella tua vigna con un salariato e guadagnarmi il pane giorno dopo giorno. Mi basterà quel tuo sguardo di Padre posato su di me, denso di gratitudine per averti dato la gioia d'essere Padre per l'ennesima volta e di misericordia per avermi riaccolto in Te come quando m'hai concepito all'esistenza.
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