Piuttosto che una sintesi del
documento, che per la sua ricchezza domanda di essere letto per intero, mi
limito ad alcune osservazioni e sottolineature.
La Lettera offre innanzitutto una
sostanziosa sintesi del cammino ecclesiale percorso dai movimenti e con i
movimenti dal Concilio ad oggi. È una lettura positiva, fatta con fiducia e
speranza, una conferma ulteriore dell’apprezzamento dei doni carismatici nella
Chiesa di oggi, validando la visione dei Papi di una “primavera della Chiesa”,
di “nuova Pentecoste”. Attualmente i movimenti si presentano come partner
adulti, che portano nella Chiesa contributi seri e indispensabili di pedagogia
evangelica, santificazione, evangelizzazione.
Dal punto di vista teologico la
Lettera offre elementi di estrema importanza, non nuovi, ma riproposti con
precisione e chiarezza. Seguendo soprattutto l’apporto offerto dal card.
Ratzinger nel 1998, e da lui ripreso come Papa nel 2006, si è abbandonato lo
schema Carisma / Istituzione come due vie diverse e si è messa in luce l’unica
sorgente che è lo Spirito Santo dal quale provengono come doni suoi sia quelli
gerarchici che quelli carismatici; egli ne è l’origine e in lui ambedue hanno
il medesimo fine: la crescita e la comunicazione universale del dono di Dio
all’umanità in Cristo Gesù. Non possono più essere considerati se non
congiuntamente.
Là dove si parla del rapporto fra
Chiesa universale e Chiesa locale non si afferma più il primato della
dimensione universale su quella locale (un aspetto criticato della Communionis
notio). Si esprime piuttosto la pericoresi tra le due dimensioni ambedue
imprescindibili, senza contrapposizione fra universale e locale.
I criteri di ecclesialità sono
passati dai cinque, indicati nella Christifideles laici, a nove.
L’aspetto missionario, da quarto criterio diventa il secondo, subito dopo
quello della santità, in linea col Vaticano II che vede la Chiesa in ottica
missionaria, ma soprattutto in sintonia con la sensibilità odierna di Papa
Francesco. L’aver posto come particolare criterio di ecclesialità l’apertura al
mondo ricorda che il rapporto tra doni gerarchici e carismatici non è soltanto
e prima di tutto una questione interna alla Chiesa, è piuttosto il presupposto
per un cammino della Chiesa intera “in uscita” in questa fase nuova della sua
storia. Per questo si ricorda ai vescovi, in modo garbato ma deciso, che, come
i carismi non sono un fatto opzionale nella Chiesa, così non lo è neppure la
loro accoglienza: essi vanno piuttosto recepiti e valorizzati proprio come dono
che lo Spirito fa a loro. Se i carismi, e i movimenti che ne sono animati, sono
dati per un rinnovamento della Chiesa e per rispondere alle sfide della
missione, non si può più immaginare la Chiesa se non animata e ringiovanita dai
doni carismatici e gerarchici operanti in sinergia.
Nell’ultima parte si supera
definitivamente un certo sospetto, da parte di chi è già detentore di un
carisma, nei confronti dei nuovi carismi che lo Spirito dona per tutta la
Chiesa, quindi anche per loro. Si afferma chiaramente che i doni carismatici
legati alle nuove aggregazioni sono rilevanti anche per i sacerdoti (e non solo
per la loro vita personale, ma anche per il ministero) e per gli stessi membri
degli Istituti di vita consacrata. Anche in questo è richiesta la reciprocità:
se i “nuovi” carismi sono un dono per gli “antichi”, questi ultimi rimangono un
dono per i primi. Ciò vale anche per i rapporti tra i membri dei diversi
movimenti, la cui comunione e collaborazione è da incrementare
costantemente.
La Lettera Iuvenescit Ecclesia
non è un documento chiuso. Essa si presta ad ulteriori sviluppi. Dopo il
convegno ecumenico promosso dalla Congregazione per gli Istituti di vita
Consacrata e le Società di Vita Apostolica, si dovrà approfondire il legame con
le forme di vita carismatiche presenti nelle altre Chiese cristiane. Andrà
tematizzato anche il rapporto tra i carismi e Maria, così come il “profilo
mariano” della Chiesa di cui ha ripetutamente parlato Giovanni Paolo II in
consonanza con H.U. von Balthasar. La tematica della Lettera potrebbe infine
aiutare a saldare maggiormente il progetto di sinergia tra i vari doni in una
prospettiva di Chiesa in uscita e con la Riforma della Chiesa portata avanti da
Papa Francesco.
In ultimo occorre rilevare, come già
accennato, che l’ambito del documento è volutamente circoscritto. Si tratta di
una scelta, che ha consentito l’approfondimento dei rapporti tra movimenti e
Gerarchia. Se ne avverte comunque la ristrettezza. Nel futuro si potrebbe
auspicare una riflessione ecclesiologica con una visione più ampia, inglobante
tutte le forme carismatiche. Inoltre, un documento come la Lettera Iuvenescit
Ecclesia dovrebbe essere frutto di un dialogo intenso tra tutte le parti
interessate: la Congregazione della Dottrina della Fede, la Congregazione dei
Vescovi, la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di
Vita Apostolica, il Pontificio Consiglio per i laici. Forse lo è stato, ma
sarebbe una piacevole sorpresa leggere la firma congiunta di tutti e quattro i
responsabili dei dicasteri, proprio per rendere visibile la comunione dei doni;
così come sarebbe bello vederla indirizzata, oltre che ai Vescovi, anche ai
Moderatori dei Movimenti, visto che tratta delle loro mutue relazioni.
La Lettera Iuvenescit Ecclesia,
per la profondità dottrinale, la positività dell’impianto, la serenità e
chiarezza con la quale affronta le tematiche, segna una pietra miliare di non
ritorno nel riconoscimento del valore dei nuovi carismi, nel cammino di
comunione ecclesiale, nell’apertura verso le nuove frontiere della missione.
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