Quando,
al termine della santa Sinassi, Apa Pafnunzio tornava nella sua cella, era
sempre avvolto da grande gioia. Cosa aveva fatto, si domandava, lui peccatore, per meritare
una comunità di fratelli così santi? Soprattutto, cosa aveva
fatto per meritare che il Signore stesso lo considerasse suo amico, al punto da
condividere con lui Parola e Pane?
Quel
giorno apa Agatone aveva letto di Maria che, ai piedi della croce, s’era sentita
rivolgere dal Cristo Crocifisso quelle parole misteriose: “Donna ecco tuo
figlio”. L’igumeno aveva spiegato che Gesù affidava l’apostolo Giovanni a sua
madre. L’aveva detto anche a lui: “Ecco tuo madre”. Era dunque conveniente,
concludeva apa Agatone, che ognuno di noi si affidasse a Maria, con piena fiducia,
consegnandosi a lei interamente.
Sempre
grato a ciò che gli veniva proposto, apa Pafnunzio aveva aderito con slancio
all’invito e s’era offerto, come tante volte aveva già fatto. Avvertì il manto di Maria che lo avvolgeva.
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Si
sentiva prediletto, apa Pafnunzio, proprio perché peccatore. Era davvero il
discepolo prediletto. Dunque erano rivolte a lui le parole indirizzate a
Giovanni: “Ecco tua madre”. Gesù affidava Maria a lui, ad apa Pafnunzio! Era
questo il vero atto di affidamento. Egli avrebbe dovuto prenderla con sé,
proteggerla, amarla.
Come,
adesso che era salita al cielo?
Apa
Pafnunzio ripensò alla santa Sinassi da poco celebrata, rivide ad uno ad uno i
volti dei sei fratelli della laura: quella piccola comunità monastica gli parve
Maria. Gesù gliel’aveva affidata. Gli sembrò di stendere il proprio mantello e
di avvolgerla in un abbraccio di compassione e d’amore.
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