martedì 5 marzo 2019

Compiere le opere di Gesù

Ancora una promessa di Gesù (anzi due!) pubblicata sul sito di Città nuova



Le molte promesse di Gesù disseminate lungo il Vangelo di Giovanni si addensano e si moltiplicano nelle poche ore nelle quali egli si siede a tavola con i Dodici per la sua ultima cenacon loro. Che serata straordinaria fu quella! Gesù l’aveva attesa per tutta la vita: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi», disse appena salì nella sala al piano superiore della casa di “un tale” (Lc 22, 14-15). In greco l’espressione è ancora più intensa: «Con desiderio ho desiderato», forma grammaticale che esprime un superlativo: «Ho tantissimo desiderato».
Perché questo struggente desiderio di Gesù? Perché per quell’ultima sera si è riservato i doni più preziosi che custodiva gelosamente: l’Eucaristia, il sacerdozio, il comandamento nuovo, la preghiera per l’unità… Ma anche le promesse più grandi: se ne andava, ma prometteva che sarebbe rimasto, che non ci avrebbe lasciato da soli, che avrebbe mandato lo Spirito Santo, promessa delle promesse! A Giovanni occorrono ben cinque capitoli del suo Vangelo per raccontarci quello che Gesù fece e disse quella sera nella sala superiore a dimostrazione del suo grande amore per noi: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13, 1).
Soffermiamoci su due di quelle tante promesse. La prima è sconcertante: «Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi» (Gv 14,12). Non è possibile! Compiere le opere che Gesù ha compiuto, anzi farne di più grandi? È simile al sogno di quanti hanno dato vita a grandi aziende. Vorrebbero vedere i figli continuare la loro impresa, anzi ingrandirla, svilupparla. Invece il più delle volte i successori sono degli inetti che ereditano la società, ne dilapidano il capitale e si mostrano incapaci di amministrarla e farla crescere.
Non sarà così per la grande impresa di Gesù, per quella comunità nuova, la Chiesa, a cui egli sta dando vita con la sua morte e risurrezione. I discepoli continueranno compiere con fedeltà le sue opere. Faranno miracoli come lui? Anche, ma la sua opera è un’altra: attuare il progetto di Dio di radunare i figli di Dio dispersi e comporli in famiglia. Tutte le altre opere sono a servizio di quest’unica opera. I credenti faranno opere “più grandi”, nel senso che porteranno a compimento, attraverso i secoli, quanto Gesù ha iniziato.
Oggi quei credenti siamo noi. Possiamo davvero continuare e compiere l’opera di Gesù? Ma noi non siamo Gesù… Lo sapeva che avremmo dubitato, per questo la promessa si apre con un «In verità, in verità io vi dico: chi crede in me…». Premette quel misterioso “Amen, amen dico vobis” che è come un sigillo di garanzia: sto parlando sul serio, sarà proprio così.
Com’è possibile partecipare alla missione di Gesù e operare come lui opera? L’ha appena detto: «Chi crede in me…». È questo il segreto. Credere, lo sappiamo, non è soltanto un assenso mentale, è una adesione di se stesso, fino a diventare una cosa sola con colui nel quale si crede. Sarà dunque lui il vero autore delle opere e dell’opera che la Chiesa e noi in essa, siamo chiamato a compiere. Come Gesù compie la missione che il Padre gli ha affidato perché il Padre è in lui, così i discepoli di Gesù possono continuare la sua missione perché egli è in loro.
Poco più avanti, quella stessa sera, Gesù spiega ulteriormente introducendo un’altra promessadello stesso tenore: «Chi rimane in me porta molto frutto» (Gv 15, 5). Prima ha parlato di opere, ora di frutti, usando l’immagine della vite i cui tralci, se ben lavorati, generano grappoli d’uva. Al di là della metafora promette che in noi fiorirà in pienezza la vita che egli è venuto a portare e che a nostra volta saremo capaci di suscitare la vita di Dio attorno a noi.
Anche in questo caso sarebbe ridicolo appropriarci della vita che nasce in noi e attorno a noi, così come sarebbe ridicolo che il tralcio pensasse che sia lui e non la vite a far germogliare l’uva. La vite è Gesù! Per portare frutto occorre essere saldamente innestati in lui: «Io sono la vite… voi siete i tralci». Noi siamo perché egli è. La Chiesa c’è perché c’è Cristo.
Continuando il suo discorso Gesù lascia da parte l’allegoria della vita e dei tralci e ripete che dobbiamo “rimanere” nel suo amore, in lui.
Ancora una volta siamo come davanti a una cascata: l’amore scende dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi. La nostra vocazione è vivere dell’amore e nell’amore, ossia vivere in Gesù, osservando la sua parola, così che sia lui a compiere, nel tempo, attraverso di noi, l’opera che il Padre gli ha affidato; un’opera che diventa la nostra.
Cosa promette dunque Gesù? Di condividere con noi la sua missione: fare di tutti uno! È l’opera più grande, il molto frutto: lui in noi, noi con lui, noi come lui, per compiere il disegno del Padre.

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