mercoledì 13 marzo 2019

Il pane spezzato



Allo spuntare del sole la giornata si presenta già luminosissima. Scendiamo lungo l’autostrada del sole che si snoda tra la catena marittima e quella della Sila. Proseguiamo su una strada sinuosa in mezzo ai boschi fino a Scigliano. Ci attendono sei giovani suore Clarisse, chiuse in un bel conventino. Sembra d’essere alla fine del mondo, ma dopo un attimo sembra d’essere al centro del mondo.
Messa seguita da una vivace conversazione e dalla mia “dotta” conferenza. Il tutto nella semplicità e nella gioia.

Nel pomeriggio breve visita al quartiere che sale sulla riva del torrente Crati opposta rispetto alla città vecchia. Ville e palazzi eleganti. Primo tra tutti quello che accoglie il palazzo Arnone che accoglie la Galleria nazionale. L’allestimento moderno, con estremo gusto, dà rilievo alle poche scelte bellissime tele. Un’attrattiva particolare l’ala con gli schizzi a matita di Boccioni.

Continuano gli esercizi spirituali, con colloqui che mi aprono su inediti scenari di vita familiare e sociale.
La frequenza alle mie conversazioni è sempre alta. Rimaniamo sempre nel cenacolo dell’ultima cena, in particolare con il pane spezzato e il vino versato,

Mi colpisce soprattutto quel gesto dello spezzare il pane, che rimarrà indelebile nella mente dei discepoli. I due di Emmaus riconobbero Gesù allo spezzare del pane (cf. Lc 24, 30); la prima comunità cristiana era perseverante «nello spezzare il pane» (Atti 2, 42), «spezzavano il pane nelle case» (Atti 2, 46). A Troade la comunità si riuniva il primo giorno della settimana per «spezzare il pane» (Atti, 20, 7), così come durante la tempesta sul mare, prima di approdare a Malta, sulla nave Paolo «prese un pane… e lo spezzò» (Atti 27, 35). L’espressione “spezzare il pane” (klásis tou ártou) non si trova nella grecità classica, è tipica dei racconti evangelici, al punto da diventare quasi una formula “tecnica” per designare l’eucaristia, anche se presto si imporrà quest’ultimo termine, “eucaristia”, legato al “rendimento di grazie”.
È un gesto che indica condivisione, comunione di mensa, fraternità. È il gesto del capofamiglia, che genera la fraternità. Ancora a casa mia, quand’ero ragazzo, nessuno pensava di prendersi il pane da solo, era sempre il babbo che a tavola lo divideva e lo distribuiva. È così che ci si riconosce fratelli. Un unico pane diviso tra tutti. Niente di più semplice e di più solenne che mangiare lo stesso pane. «Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1 Cor 10, 16-17).

Pane spezzato e vino versato, l’Eucaristia è dono estremo che domanda d’essere assunto nella reciprocità di donazione e di comunione, fino ad essere trasformati, a nostra volta, in pane spezzato e donato per gli altri. L’atto di Gesù che si dona continua in colui che di lui si nutre: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16; cf. 4, 7-11).

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