“Un
uomo aveva due figli…”. Uno degli incipit più affascinanti.
Quante
volte sarà stata narrata questa parabola di Gesù?
A proposito,
come si chiama? “La parabola del figlio prodigo”. Hai voglia a dire che è la
parabola del padre misericordioso… Resta sempre la parabola del figlio prodigo,
perché quella del figlio minore è la figura di spicco.
Vuoi
mettere una vita avventurosa come quella di questo giovane, a confronto con
quella monotona del figlio maggiore?
Il
minore, scapestrato quanto basta, ribelle, avido di libertà, ne ha da
raccontare!
Il
maggiore, ligio al suo dovere, è una figura un po’ grigia. Basti pensare al
famoso quadro di Rembrand, che mette in primo piano il minore, mentre il
maggiore rimane dietro, nell’ombra, appena accennato.
Provo
a mettermi dalla parte sbagliata, da quella del maggiore, un mulo che porta
avanti la fatica d’ogni giorno, senza troppa fantasia, ligio al dovere. Lasciamolo
sbottare un po’, che possa anche lui ribellarsi per una volta, tanto poi torna
nei ranghi.
Fa la
figura di chi recrimina, risentito per non essere preso in considerazione. Tutte
le attenzioni per il più piccolo, viziato.
Sì, la
simpatia di tutti è per il minore.
È sempre
così. Viene premiato chi è creativo, chi osa, il diverso. In fondo è la persona
più amata. Questo in famiglia, ma anche nella società, nello stesso mondo
ecclesiale.
Chi
fa il proprio lavoro in silenzio non attira le considerazioni di nessuno. È normale
che faccia così…
Povero
fratello maggiore. Eppure è proprio lui che porta il peso della casa. Se non ci
fosse lui non ci sarebbe neppure il vitello grasso da ammazzare.
Ed è
proprio lui a ricevere da Gesù un elogio straordinario: “Tu sei sempre con me e
ogni cosa mia è tua”.
D’improvviso
si accorge che dietro quella monotonia c’è in fondo una straordinaria esperienza
di convivenza semplice e profonda, di intimità, di cui non si era mai reso conto.
È a casa, tutto gli appartiene, senza per questo dovere scialacquare. L’altro
si dà all’avventura, beato lui. Egli invece preferisce stare a casa, godere del
lavoro sodo, nascosto e portare avanti l’azienda di famiglia – la comunità, la
vita della Chiesa – senza ambire a riconoscimenti, medaglie, festeggiamenti
particolari.
Sperimenta
così la dolcezza della vita quotidiana, della fedeltà, della regolarità, dell’amore silenzioso,
che costruisce. Le cose che restano hanno bisogno di essere curate con
perseveranza e continuità.
Che bellezza
se i due fratelli fossero solidali e riconoscessero la ricchezza della
diversità dei loro caratteri e delle loro scelte!
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