sabato 30 marzo 2019

Dalla parte del fratello maggiore


“Un uomo aveva due figli…”. Uno degli incipit più affascinanti.
Quante volte sarà stata narrata questa parabola di Gesù?
A proposito, come si chiama? “La parabola del figlio prodigo”. Hai voglia a dire che è la parabola del padre misericordioso… Resta sempre la parabola del figlio prodigo, perché quella del figlio minore è la figura di spicco.
Vuoi mettere una vita avventurosa come quella di questo giovane, a confronto con quella monotona del figlio maggiore?
Il minore, scapestrato quanto basta, ribelle, avido di libertà, ne ha da raccontare!
Il maggiore, ligio al suo dovere, è una figura un po’ grigia. Basti pensare al famoso quadro di Rembrand, che mette in primo piano il minore, mentre il maggiore rimane dietro, nell’ombra, appena accennato.

Provo a mettermi dalla parte sbagliata, da quella del maggiore, un mulo che porta avanti la fatica d’ogni giorno, senza troppa fantasia, ligio al dovere. Lasciamolo sbottare un po’, che possa anche lui ribellarsi per una volta, tanto poi torna nei ranghi.
Fa la figura di chi recrimina, risentito per non essere preso in considerazione. Tutte le attenzioni per il più piccolo, viziato.
Sì, la simpatia di tutti è per il minore.

È sempre così. Viene premiato chi è creativo, chi osa, il diverso. In fondo è la persona più amata. Questo in famiglia, ma anche nella società, nello stesso mondo ecclesiale.
Chi fa il proprio lavoro in silenzio non attira le considerazioni di nessuno. È normale che faccia così…
Povero fratello maggiore. Eppure è proprio lui che porta il peso della casa. Se non ci fosse lui non ci sarebbe neppure il vitello grasso da ammazzare.
Ed è proprio lui a ricevere da Gesù un elogio straordinario: “Tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua”.
D’improvviso si accorge che dietro quella monotonia c’è in fondo una straordinaria esperienza di convivenza semplice e profonda, di intimità, di cui non si era mai reso conto. È a casa, tutto gli appartiene, senza per questo dovere scialacquare. L’altro si dà all’avventura, beato lui. Egli invece preferisce stare a casa, godere del lavoro sodo, nascosto e portare avanti l’azienda di famiglia – la comunità, la vita della Chiesa – senza ambire a riconoscimenti, medaglie, festeggiamenti particolari.
Sperimenta così la dolcezza della vita quotidiana, della fedeltà, della regolarità, dell’amore silenzioso, che costruisce. Le cose che restano hanno bisogno di essere curate con perseveranza e continuità.
Che bellezza se i due fratelli fossero solidali e riconoscessero la ricchezza della diversità dei loro caratteri e delle loro scelte!


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