Adesso
il contrario: Gesù va nel deserto per trasformarlo in un paradiso.
Ce
lo dice apertamente Marco: «Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo
servivano» (1, 13), come nel paradiso terrestre prima del peccato.
Lo stesso
Matteo: dopo che Gesù ebbe vinto la sua battaglia contro Satana «ecco, degli
angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (4, 11).
Luca,
il Vangelo di quest’anno, non dice niente al riguardo, ma la conclusione è
comunque eloquente: «il diavolo si allontanò da lui» (4, 13).
Il
deserto, secondo gli antichi, era il luogo del diavolo.
In
uno dei racconti di Gesù si dice che quando un diavolo dovette sloggiare di
casa perché la padrona aveva fatto le pulizie e messo tutto in ordine (il
diavolo non sopporta la pulizia e l’ordine), andò da dove era venuto, «per
luoghi desertici», a cercare i compagni che là vivevano (cf. Mt 12, 43-45).
Gesù,
prima ancora di cominciare il suo ministero pubblico, va nel deserto per
stanare e sconfiggere il diavolo nel suo territorio. È un chiaro segnale di
quella che sarà la sua missione: vincere colui che ci tiene schiavi, ridarci la
libertà dei figli di Dio, riportarci nel paradiso.
La
strategia è evidente da subito: far leva sulla parola di Dio, un’arma che la
Lettera agli Ebrei troverà «viva, efficace e più tagliente di ogni spada a
doppio taglio» (4, 12).
Nel
Vangelo di Luca per tre volte Gesù ribatte al diavolo:
-
Sta scritto
-
Sta scritto
- È
stato detto.
Egli,
Verbo Dio, lascia lavorare la parola di Dio. Non fa e non dice nulla da sé stesso,
è in costante ascolto della parola del Padre, vive delle parole del Padre, parla
come il Padre gli ha insegnato (cf. Gv
8, 26): è tutto Parola di Dio.
Per
questo vince Satana e trasforma il deserto in giardino.
La
sua prima apparizione è nel deserto, quella dopo la resurrezione in un
giardino.
Chissà
che anche per noi non sia questa la strategia.
La
prima parola con la quale Gesù controbatte e vince il diavolo può essere una
luce per la nostra Quaresima: «Non di solo pane vivrà l’uomo» (Lc 4, 4).
Preghiera,
elemosina, digiuno, sono le tre opere classiche della Quaresima. La prima
invita a guardare verso l’Alto, la
seconda verso l’altro, la terza verso se stessi.
«Non
di solo pane vivrà l’uomo» è un invito a guardare verso se stessi e a
domandarci: di cosa vivo?
Mi
ha molto colpito l’omelia che papa Francesco ha tenuto il mercoledì delle
ceneri, molto più del Messaggio per la Quaresima. Ha invitato «ad andare
all’essenziale, a digiunare dal superfluo che distrae».
Il
digiuno di questa Quaresima consisterà allora nell’eliminare ciò che distrae, che
è inutile, che non rimarrà; nel liberarsi dall’attaccamento alle cose.
Il
digiuno classico, che si esprime nella moderazione del cibo, rimane sempre
valido, perché ci allena a dominarci e ci dà più tempo per pregare.
Ma c’è
un digiuno più profondo. Quando cammino per le vie del centro e guardo certi
negozi che invitano a curare solo l’apparenza, o quando vedo sulla
metropolitana persone inchiodate al cellulare, o quando… Quante cose anche in
me che ingombrano inutilmente l’anima.
Digiuno
come distacco, come essenzialità. Bellissime al riguardo le due immagini
proposte dal Papa, la bussola impazzita e la calamita che si lascia attrarre da
ciò che è vanità:
«Gesù
ha detto: “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Il
nostro cuore punta sempre in qualche direzione: è come una bussola in cerca di
orientamento. Possiamo anche paragonarlo a una calamita: ha bisogno di
attaccarsi a qualcosa. Ma se si attacca solo alle cose terrene, prima o poi ne
diventa schiavo: le cose di cui servirsi diventano cose da servire. L’aspetto
esteriore, il denaro, la carriera, i passatempi: se viviamo per loro,
diventeranno idoli che ci usano, sirene che ci incantano e poi ci mandano alla
deriva. Invece, se il cuore si attacca a quello che non passa, ritroviamo noi
stessi e diventiamo liberi. Quaresima è il tempo di grazia per liberare il
cuore dalle vanità. È tempo di guarigione dalle dipendenze che ci seducono. È
tempo per fissare lo sguardo su ciò che resta».
«Non
di solo pane»: riorientare il cuore.
Gesù
aveva detto ai discepoli di andare in città, dove avrebbero trovato «al piano
superiore una grande sala, arredata e già pronta» (Mc 14, 15). Dovrò salire, spero con tante persone di Cosenza,
al
piano “superiore”, per vivere con loro una settimana di “esercizi spirituali
nel quotidiano”.
Quello
di Gesù è un invito a portarci a un altro livello, a un piano “superiore”.
Suppone
un “digiuno”, lasciare a pianterreno pregiudizi e attaccamenti, il nostro mondo
piccolo e meschino, per portarci sul piano della fede, della disponibilità alle
incognite dello Spirito, dell’amore accogliente. Siamo invitati a toglierci i
sandali, come Mosè davanti al roveto ardente: stiamo per entrare in un “luogo
santo” (cf. Es 3, 5).
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