sabato 9 marzo 2019

Non di solo pane


Adamo ed Eva erano stati cacciati dal paradiso e si ritrovarono in un deserto.
Adesso il contrario: Gesù va nel deserto per trasformarlo in un paradiso.
Ce lo dice apertamente Marco: «Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (1, 13), come nel paradiso terrestre prima del peccato.
Lo stesso Matteo: dopo che Gesù ebbe vinto la sua battaglia contro Satana «ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (4, 11).
Luca, il Vangelo di quest’anno, non dice niente al riguardo, ma la conclusione è comunque eloquente: «il diavolo si allontanò da lui» (4, 13).

Il deserto, secondo gli antichi, era il luogo del diavolo.
In uno dei racconti di Gesù si dice che quando un diavolo dovette sloggiare di casa perché la padrona aveva fatto le pulizie e messo tutto in ordine (il diavolo non sopporta la pulizia e l’ordine), andò da dove era venuto, «per luoghi desertici», a cercare i compagni che là vivevano (cf. Mt 12, 43-45).
Gesù, prima ancora di cominciare il suo ministero pubblico, va nel deserto per stanare e sconfiggere il diavolo nel suo territorio. È un chiaro segnale di quella che sarà la sua missione: vincere colui che ci tiene schiavi, ridarci la libertà dei figli di Dio, riportarci nel paradiso.
La strategia è evidente da subito: far leva sulla parola di Dio, un’arma che la Lettera agli Ebrei troverà «viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (4, 12).
Nel Vangelo di Luca per tre volte Gesù ribatte al diavolo:
- Sta scritto
- Sta scritto
- È stato detto.
Egli, Verbo Dio, lascia lavorare la parola di Dio. Non fa e non dice nulla da sé stesso, è in costante ascolto della parola del Padre, vive delle parole del Padre, parla come il Padre gli ha insegnato (cf. Gv 8, 26): è tutto Parola di Dio.
Per questo vince Satana e trasforma il deserto in giardino.
La sua prima apparizione è nel deserto, quella dopo la resurrezione in un giardino.
Chissà che anche per noi non sia questa la strategia.

La prima parola con la quale Gesù controbatte e vince il diavolo può essere una luce per la nostra Quaresima: «Non di solo pane vivrà l’uomo» (Lc 4, 4).
Preghiera, elemosina, digiuno, sono le tre opere classiche della Quaresima. La prima invita a guardare verso l’Alto, la seconda verso l’altro, la terza verso se stessi.
«Non di solo pane vivrà l’uomo» è un invito a guardare verso se stessi e a domandarci: di cosa vivo?
Mi ha molto colpito l’omelia che papa Francesco ha tenuto il mercoledì delle ceneri, molto più del Messaggio per la Quaresima. Ha invitato «ad andare all’essenziale, a digiunare dal superfluo che distrae».
Il digiuno di questa Quaresima consisterà allora nell’eliminare ciò che distrae, che è inutile, che non rimarrà; nel liberarsi dall’attaccamento alle cose.
Il digiuno classico, che si esprime nella moderazione del cibo, rimane sempre valido, perché ci allena a dominarci e ci dà più tempo per pregare.
Ma c’è un digiuno più profondo. Quando cammino per le vie del centro e guardo certi negozi che invitano a curare solo l’apparenza, o quando vedo sulla metropolitana persone inchiodate al cellulare, o quando… Quante cose anche in me che ingombrano inutilmente l’anima.
Digiuno come distacco, come essenzialità. Bellissime al riguardo le due immagini proposte dal Papa, la bussola impazzita e la calamita che si lascia attrarre da ciò che è vanità:
«Gesù ha detto: “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Il nostro cuore punta sempre in qualche direzione: è come una bussola in cerca di orientamento. Possiamo anche paragonarlo a una calamita: ha bisogno di attaccarsi a qualcosa. Ma se si attacca solo alle cose terrene, prima o poi ne diventa schiavo: le cose di cui servirsi diventano cose da servire. L’aspetto esteriore, il denaro, la carriera, i passatempi: se viviamo per loro, diventeranno idoli che ci usano, sirene che ci incantano e poi ci mandano alla deriva. Invece, se il cuore si attacca a quello che non passa, ritroviamo noi stessi e diventiamo liberi. Quaresima è il tempo di grazia per liberare il cuore dalle vanità. È tempo di guarigione dalle dipendenze che ci seducono. È tempo per fissare lo sguardo su ciò che resta».
«Non di solo pane»: riorientare il cuore.

Gesù aveva detto ai discepoli di andare in città, dove avrebbero trovato «al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta» (Mc 14, 15). Dovrò salire, spero con tante persone di Cosenza,
al piano “superiore”, per vivere con loro una settimana di “esercizi spirituali nel quotidiano”.
Quello di Gesù è un invito a portarci a un altro livello, a un piano “superiore”.
Suppone un “digiuno”, lasciare a pianterreno pregiudizi e attaccamenti, il nostro mondo piccolo e meschino, per portarci sul piano della fede, della disponibilità alle incognite dello Spirito, dell’amore accogliente. Siamo invitati a toglierci i sandali, come Mosè davanti al roveto ardente: stiamo per entrare in un “luogo santo” (cf. Es 3, 5).

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