Tempo fa, passeggiando per le strade del quartiere di quant’ero ragazzo,
ho visto una targa che è lì da dieci anni, ma che non avevo mai notato. Ricorda
l’arrivo degli Oblati a Prato. Erano i primi di ottobre del 1956 quando p. Carlo
Irbicella giunse in città e diede vita ad una delle più belle esperienze
vissute dagli Oblati in Italia. (Mia mamma amava ricordare spesso l’incontro
che parecchi anni più tardi avemmo a Roma con p. Carlo, nella chiesa del SS
Crocifisso, dove era parroco, e le parole che gridò rivolto verso di me, con
quella voce possente di predicatore incallito: “Fabio, sei il mio orgoglio!”)
La targa recita: «In questo magazzino, il 7 ottobre 1956, “su due casse
rivoltate”, fu celebrata la prima S. Messa parrocchiale. Questo locale fu la
prima cappella della nuova parrocchia di Gesù Divin Lavoratore…».
Visto di fronte il magazzino sembra piccolo, ma è abbastanza profondo:
di lato sono tre gli sporti che si aprono sulla strada.
Nella mia Piccola storia
ricordo così quegli inizi, quando avevo otto anni: «Il primo Oblato l’avevo
incontrato che ero ancora bambino, p. Carlo Irbicella, venuto a Prato per dar
vita ad una nuova parrocchia. Gli Oblati erano stati invitati a Prato perché avevano
predicato, assieme ad altri religiosi, la missione cittadina. P. Carlo arrivò
da solo. Credo che allora facesse ancora parte della comunità di Firenze.
Aveva preso alloggio nella famiglia Gelsumini (chi avrebbe immaginato che il
bambino dei Gelsumini sarebbe poi diventato mio cognato!). In attesa di
costruire la chiesa celebrava la messa in un garage. La presenza di questo
missionario fece subito molta impressione, in una città piccola come Prato.
Ancora oggi tanti ne conservano un bel ricordo. Il babbo qualche volta andava
alla messa in questo garage e portava anche me. Ho un solo indelebile ricordo:
alla messa – forse era per l’Azione cattolica – c’erano solo uomini e mi face
impressione sia come gli uomini stavano attenti alle parole del Padre, sia come
erano generosi nel dare i soldi per la nuova chiesa. Tutto questo bastava
perché anche agli occhi miei, di bambino, quell’uomo fosse un grand’uomo!».
Leggendo nella targa che la messa veniva celebrata “su due casse
rivoltate”, mi è venuto da sorridere. Oggi chi sa più com’erano una volta le “casse
da filato”, quelle di legno con le quali, tra l’altro, giocavano da bambini. Mi
sono fatto mandare da mio cugino Andrea, appassionato di storia locale, alcune
foto di allora con quelle casse. Riusciranno a dare l’idea di come fosse quell’altare
e di come fossero semplici e intraprendenti gli Oblati e i pratesi di
allora?
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