domenica 10 marzo 2019

E' iniziata l'avventura cosentina


Parto da Termini con la freccia bianca perché le frecce rosse e Italo si arrestano a Salerno. Cristo non si è fermato più a Eboli ma a Salerno. Da lì in giù siamo ai confini dell’impero. Scendo a Paola, e proseguo con il treno locale, da poco ripristinato, ma ad aprile la linea sarà nuovamente interrotta, lasciando deserta la nuova stazione di Cosenza, visto che l’unica linea che la raggiunge è Paola Cosenza, anche se da lì parte il trenino calabro-lucano.

Giornata bellissima, piena di sole. Lascio la borsa dagli Oblati e mi inoltro immediatamente nella città vecchia, solo per fare due passi, dopo essere stato a lungo seduto in treno. So che è una città fantasma, sono stato qui lo scorso anno. Mi addentro ugualmente in alcune strade antiche, affascinato dai palazzi che, pur nell’abbandono e nel degrado, ricordano i fasti di un passato lontano.
Frontoni e portali di pietra finemente scolpiti fanno ancora bella mostra di sé e saloni affrescati e gli stucchi si lasciano intravedere dalle finestre sventrate.
Non c’è anima viva, una città apparentemente disabitata, eppure i panni distesi qua e là dicono che qualcuno deve pur esserci, nascosto in stanze dove i tetti non sono ancora sprofondati. In effetti vi sono stanziati profughi, zingari e persone che non possono sperare in una casa vera e propria.


Questa mattina il tepore e il sole invitavano ad uscire di casa. La città nuova, al di qua del fiume Busento che la divide da quella vecchia, si mostra piena di vitalità.
Il grande corso che l’attraversa – museo all’aperto con grandi opere di Modigliani, Carrà, De Chirico… – è affollatissimo. È una tutta un’altra città.

Tra le due città, quasi a fare da collante, si posiziona, proprio sulla riva del fiume, la comunità degli Oblati con la monumentale chiesa di san Domenico. Più che una chiesa è un autentico complesso, a partire dalla cappella ottagonale dei Templari del XII secolo, alla chiesa del XIII secolo, a quella del XV secolo, fino alla cappella d’oro del Settecento.

Proprio in comunità la cosa più bella.
Ieri sera, dopo la desolazione della città vecchia, entrando in casa trovo un vivacissimo gruppo di giovani che condivide spiritualità e missione con gli Oblati.
Oggi pomeriggio un gruppo ancora più bello: un centinaio di persone, stipate nella sala a pianterreno, decise a iniziare una settimana di esercizi spiritualità nel quotidiano, altre se ne aggiungeranno domani.
Alla messa, nella chiesa, il gruppo si è più che duplicato.
Mi sembra d’essere in un altro mondo, nel quale mi trovo come un pesce nell’acqua: posso donare Vangelo a piene mani, una gioia indicibile.




Non possiamo certamente competere con Celso e la sua nuova chiesa di Andula in Guinea Bissau.
La chiesa è gremita e le persone sono così tante che devono seguire la messa stando nella piazza antistante. Ma Celso è un missionario vero! Che bello avere dei compagni così! Da esserne davvero orgogliosi.

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