martedì 26 marzo 2019

La spiritualità dei cristiani comuni / 3 La vita cristiana in famiglia


 

Torniamo alle lezioni dei novizi e novizie…

Quanto il cristiano impara nell’assemblea comunitaria, nella vita liturgica e nella preghiera personale è invitato a viverlo nella vita familiare e sociale. La famiglia, fin dagli inizi, costituisce un autentico ambiente ecclesiale, la seconda comunità, la chiesa domestica, dove mettere in pratica la vita battesimale.
La novità evangelica appare evidente innanzitutto nella vita coniugale, dove mostra il primo grande distanziamento dalla comune mentalità pagana. In una società che ammette il divorzio e tollera le relazioni extraconiugali, il matrimonio cristiano esige l’indissolubilità e la fedeltà. Inoltre, come scriveva Aristide nella sua Apologia, «i cristiani si astengono da ogni unione illegittima e da ogni azione impura». La santità coniugale perseguita nei primi secoli non si limita comunque alla fedeltà reciproca. I Padri della Chiesa e i pastori indicano delle mete molto più esigenti ai coniugi. Dagli sposi si richiede una autentica comunione spirituale, quale compimento e realizzazione del reciproco amore. Il loro stato di vita viene dichiarato santo e la loro unione garantita dalla presenza di Gesù in mezzo a loro: «Chi sono i due o i tre riuniti in nome di Cristo, in mezzo ai quali sta il Signore? - si domanda Terulliano - Non sono forse l’uomo, la donna e il figlio dal momento che l’uomo e la donna sono uniti da Dio?». Il matrimonio cristiano raggiunge una dignità incomparabile: «Là dove vi è una sola carne, vi è un unico spirito».
Sempre Tertulliano, nella lettera alla moglie, descrive il rapporto tra i coniugi cristiani: «Essi sono fratelli l’uno per l’altro e si servono reciprocamente; nessuna distinzione fra carne e spirito. Anzi sono veramente due in una carne sola e dove la carne è una è uno anche lo spirito. Insieme pregano, insieme s’inginocchiano ed insieme digiunano; l’uno insegna all’altro, l’uno esorta l’altro, l’uno sostiene l’altro. Sono uguali nella chiesa di Dio, uguali al banchetto di Dio, uguali nelle angustie, nelle persecuzioni e nelle consolazioni. Nessuno ha segreti per l’altro, nessuno evita l’altro, nessuno è per l’altro di peso. Con libertà visitano i bisognosi e sostengono i poveri. Le elemosine sono senza tormento e i sacrifici senza scrupoli, la diligenza quotidiana non ha impedimento. Il segno di croce non si fa di nascosto; la lode non è timorosa, la benedizione non è silenziosa; i salmi e gli inni cantano a due cori e fanno a gara per cantare meglio al loro Dio, Cristo vede questo e nell’ascoltare gioisce, A loro manda la sua pace».
Anche se i ruoli familiari rimangono condizionati dalla cultura del tempo, il cristianesimo affermava la pari dignità e l’uguaglianza tra i due sposi. «Per l’uomo e per la donna - afferma Clemente Alessandrino - la virtù è la stessa. Se per entrambi, infatti, uno solo è Dio e uno solo anche il Pedagogo, per entrambi una sola è la chiesa, una sola la saggezza, una sola la verecondia; il cibo è comune e coniugali le nozze; il respiro, la vista, l’udito, la scienza, la speranza, l’obbedienza, la carità, tutto è simile: E quelli che hanno comune la vita e comune la grazia e comune anche la salvezza, hanno senz’altro comune anche la virtù».
Allo schema tradizionale della famiglia in cui l’uomo è capo indiscusso, anzi più che capo padrone, si sostituisce lo schema, che rimarrà classico nella spiritualità cristiana, della chiesa domestica; in essa deve regnare innanzitutto la carità, che produce il massimo dei beni quotidiani, la concordia e con essa il mutuo servizio del formarsi e camminare verso Dio. Basterà ricordare alcuni insegnamenti di Giovanni Crisostomo: «diventi una chiesa la casa (…). Vi riposi la grazia dello Spirito Santo e ogni pace e concordia difenda gli abitanti». «Gli sposi facciano qualsiasi cosa come se avessero una sola anima e fossero un solo corpo. Questo è il vero matrimonio, quando così grande è la concordia tra di loro, quando così sono concatenati tra di loro dal vincolo della carità».
Anche nel concepire, generare e allevare la prole i cristiani si distinguono dai pagani. I genitori cristiani hanno cura dei propri figli: «Non abbandoneranno mai la loro mano dal figlio o dalla figlia, ma fin dall’infanzia insegneranno loro il timore di Dio».
Assistiamo al passaggio dal concetto di patria potestas a quello di paterna pietas: non è più lecito l’aborto, l’esposizione dei neonati, la vendita dei bambini. «Ogni padre di famiglia - scrive Agostino - si senta impegnato, a questo titolo, ad amare i suoi con affetto veramente paterno. Per amore di Cristo e della vita eterna, educhi tutti quei di casa sua, li consigli, li esorti, li corregga, con benevolenza e con autorità». E Giovanni Crisostomo: «Io non cesso di esortarvi di pregare, di supplicarvi che prima di ogni altra cosa voi curiate per tempo l’educazione dei vostri figli. (…) Alleva un atleta per Cristo. (…) Ciascuno di noi, padri e madri, come i piccoli che noi vediamo lavorare ai loro quadri, alle loro opere con grande attenzione, presti tutte le sue cure a queste ammirabili opere d’arte».


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