Ogni
inizio offre la possibilità di ricominciare, ha il sapore del nuovo, dischiude
la sorpresa dell’inedito.
Anche
l’anno liturgico, che ci aiuta a contemplare e rivivere i misteri di Gesù.
Con
felice coincidenza quest'anno il vangelo della prima settimana di Avvento è lo stesso dell’ultimo
giorno dell’anno liturgico. La liturgia di sabato 1 e domenica 2 ci fa leggere
il medesimo brano di Luca sull’ultima venuta di Gesù.
Quando
Paolo scrisse la prima lettera ai Tessalonicesi, il più antico testo del nuovo
Testamento, pensava che Cristo sarebbe venuto da lì a pochi giorni: “saremo
ancora in vita quando verrà il Signore… Il Signore scenderà dal cielo… quindi
noi, i vivi, saremo rapiti tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria,
e così saremo sempre con il Signore” (4, 18).
A
parte questo volo in po’ rocambolesco su per nubi del cielo, si avverte tutta l’attesa
di Paolo, e soprattutto il desiderio di “stare sempre con il Signore”; in fondo
questo sarà il Paradiso.
Più
passavano gli anni e più Paolo si rendeva conto che ormai sarebbe morto senza vedere
il ritorno del Signore. Per le generazioni successivi sarà ormai un dato
acquisito che il Signore non tornerà subito. Quanti secoli dovremo aspettare?
La
storia è la storia. Ma nella grande storia c’è anche la mia piccola storia e in
questa mia piccola storia il Signore presto verrà o comunque io andrò presto da lui.
Viene…
ormai non passeranno più di vent’anni, se tutto va bene (piuttosto, andrebbe
meglio se venisse subito!, come sperava Paolo: morire è un guadagno, per chi sa
che andrà a vivere per sempre con il Signore!).
In
ogni caso manca poco, fossero anche cent’anni.
Allora?
Ecco la parola di Gesù: pregare e vegliare, ossia vivere sempre nella sua
attesa, così che ogni azione, ogni pensiero, ogni parola sia vissuta, pensato,
pronunciata, sapendo che lui è già qui, che mi vede, mi sente, mi ama. Vivere come un innamorato che fa
tutto restando proteso verso il momento dell’incontro con l’innamorata, che gli è sempre
presente, anche se lontana.
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