Sulla
rivista “Città Nuova” ho pubblicato la dodicesima e ultima puntata sul Paradiso’49.
Nell'autunno 1949, con il rientro a
Roma, inizia non soltanto una rilettura dell’esperienza vissuta durante
l’estate, e quindi un primo tentativo di elaborazione dottrinale, ma anche uno
sviluppo accelerato del Movimento, nato sei anni prima. Fino ad ora Chiara
Lubich non ha pensato a dare una struttura alla sua opera, come scrive il 21
ottobre al vescovo di Trento che le chiede una relazione (con tanto di
statistiche). Confessa non avere badato molto, fino ad allora,
all’organizzazione «lasciando al Signore il vedere quello che si è fatto, o
meglio che Lui stesso ha fatto in mezzo a noi. Non solo, ma per una certa
reazione contro elenchi vuoti e altre forme esterne senza spirito. Abbiamo
veramente trascurato l’organizzazione, cercando d’amar Dio e di farLo amare, ed
a fatti oltreché a parole».
Da ora in poi, però, la diffusione
e la vita del Movimento entrano in risonanza con la luce di Paradiso che
continua anche a Roma. Negli scritti di questo periodo, infatti, illuminazione
mistica e organizzazione di quella che si chiamerà “Opera di Maria”,
interagiscono profondamente. Anni più tardi, nei dialoghi con la Scuola Abbà,
Chiara si chiederà: «Quello che abbiamo visto nel 1949 è stato il Paradiso o
l’Opera di Maria?», concludendo che le due realtà sono intrecciate.
Siamo all’ultima fase del viaggio –
per rimanere nell’immagine del volo in aereo – quella dell’atterraggio. Nelle
pagine conclusive del libro che stiamo leggendo insieme, il Paradiso getta luce
sull’Opera di Maria, sulle sue persone, la sua articolazione, le sue strutture,
così che tutto acquista sapore di Cielo. «Mi sembra d’intravedere in queste
ultime pagine – commenterà Chiara – le prime illuminazioni sulla vita
dell’Opera, cominciando dalla prima e più piccola espressione: il 38 focolare». Proprio
sul focolare, che diventa quasi il tipo di ogni altra convivenza, appaiono le
idee più chiare e profonde, soprattutto per quanto riguarda i rapporti
improntati sulla legge trinitaria dell’amore reciproco, che fa scaturire lo
Spirito Santo.
Chiara comprende
inoltre quelli che lei chiama i “disegni”: delle prime focolarine, dei primi
focolarini, di Igino Giordani e di Pasquale Foresi. Guardando queste persone,
che formano il primo nucleo del nascente Movimento intorno a lei, le sembra di
scorgere il progetto di Dio su ognuno di loro e vede proiettarsi sull’intera
Opera di Maria la funzione che essi assumono in quel momento. I compiti, le
strutture, gli stili di vita non sono inventati da Chiara in astratto, a
tavolino, ma osservati presenti e vivi nelle persone che Dio ha chiamato
accanto a lei. Le stesse modalità di governo dell’Opera sono frutto di questa
contemplazione: «Capivo – spiegherà anni dopo ai membri della Scuola Abbà – che
il Movimento doveva essere governato da un Centro che viveva sul modello della
Trinità».
Già il 23 luglio
1949 aveva intuito quali rapporti devono legare i membri del nascente
Movimento, in un gioco di unità e distinzione. Li esprime con l’immagine di una
rosa dai molti petali: «Nella nostra unità, di “noi” [si riferisce all’unità
iniziale tra lei e Igino Giordani] e le focolarine, ogni tanto tutte le
focolarine si uniranno a noi a formare come un bocciolo d’una mistica rosa. Poi
dal centro si distingueranno, si staccheranno (a lode e ripetizione della
Trinità) come in tanti petali, ognuno dei quali si formerà in rosa, in bocciolo
di rosa, con altri petali suddividentisi, snodantisi e formanti a loro volta
altri boccioli... Il tutto poi tornerà al bocciolo cuore... La rosa poi
s’aprirà ancora in altri modi, secondo altri rapporti che passano fra le anime,
e i disegni e le armonie saranno perennemente nuovi».
Nell’estate del
1950 affida la sua visione della struttura dell’Opera, e dei rapporti tra i
componenti, al racconto di una favola (sì, il Paradiso’49, tra molti
generi letterari, contiene anche una favola). Intitolata Favola fiorita
lungo il sentiero Foco, essa narra di vasetti di fiori adagiati sul
davanzale d’una piccola baita montana che, in un gioco fantasioso, si muovono,
muoiono, rinascono, fioriscono nei colori più vari… Così, come in una profezia,
con quella lievità che vuole caratterizzare l’Opera di Maria, fa intuire come
essa si sta articolando, seguendo un misterioso divino disegno.
La prima e
l’ultima parola con le quali rispettivamente si apre e si chiude il testo del Paradiso
’49, come ho accennato all’inizio, mi sembrano particolarmente
significative della parabola di questo straordinario viaggio. La prima, che
segna l’inizio del viaggio, è «Abbà, Padre»: si è nel seno nel Padre, nel
Paradiso. L’ultima, che segna il suo punto di arrivo, è “uomo”, riferito alla
sua pienezza che è Cristo: «Gesù è l’Amore perché è Dio. Ma il troppo amore Lo
fece Gesù Abbandonato che appare solo uomo». Si è in terra, con tutto il
Paradiso dentro. La terra in Cielo, il Cielo in terra. Il Paradiso continua
oggi tra noi…
Gustare il
Paradiso
«Quando siamo
uniti e Lui c’è, allora non siamo più due ma uno. Infatti ciò che io dico non
sono io a dirlo, ma io, Gesù e tu in me. E quando tu parli non sei tu, ma tu,
Gesù e io in te. Siamo un unico Gesù e anche distinti: io (con te in me e
Gesù), tu (con me in te e Gesù), Gesù fra noi nel quale siamo io e te».
È la vita del focolare, ossia di tutti quelli chiamati
a vivere l’unità. Vivendo così, commenta Chiara, «siamo già in paradiso. Non
c’è cosa migliore che sentirsi amati; quando ti vedi nell’altro e l’altro si
vede in te, ci sentiamo compresi fino in fondo».
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