sabato 15 dicembre 2018

Che cosa dobbiamo fare?



In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (Lc 3, 10-18).

“Che cosa dobbiamo fare?”
Glielo chiede la folla, i pubblicani, i militari…
È una domanda sincera, che nasce dal bisogno di cambiare, di andare avanti nella vita, dal desiderio di… (oso dirlo? È rischioso, anzi scandaloso) essere più buoni.
Chissà cosa si aspettano che proponga loro il profeta tagliente, duro, esigente…
Lui, così rigoroso, che vive nel deserto coperto di peli di cammelli e mangia cavallette, stranamente non chiede digiuni, penitenze, rinunce, vita ritirata. Chiede semplicemente onestà e coerenza di vita: “Fai il tuo dovere, e basta”. Ti pare poco?
È la santità del quotidiano: far bene quello che devo fare, con coscienza, con gusto, con passione, pensando al bene comune.

“Che cosa dobbiamo fare?”
Che bello se lo chiedessero gli impiegati dell’INPS, i barbieri, i sindacalisti della CGIL, gli insegnanti, i ministri, i sindaci, i preti, gli studenti, gli ingegneri, gli avvocati…
Basterebbe porsi la domanda con sincerità.

Oggi sul bus ho ascoltato una conversazione interessante. Un uomo col gilet giallo ha chiesto a una signora giovane dove doveva scendere per andare a piazza Farnese, per manifestare davanti all’ambasciata francese a Roma, in solidarietà con i gilet gialli di Parigi. 
Lei gli ha chiesto i motivi della protesta e lui ha iniziato a esporre le sue idee contro gli immigranti. Lei, con garbo, gli spiegava che siamo tutti immigrati e che gli italiani sono immigrati in tutto il mondo. “Ma noi abbiamo portato la civiltà”, obiettava lui. “Ma anche la mafia”, rispondeva lei, e gli spiegava che senza questi lavoratori umili non si potrebbe andare avanti, a cominciare da lei che non saprebbe a chi affidare i suoi bambini quando va al lavoro. “Ma loro ci portano la droga”, insisteva lui. “Non ne abbiamo bisogno. La nostra criminalità è tra le meglio organizzate del mondo, ce la caviamo da soli…”. Un gioco tra i due fatto con umore e buon gusto, fino all’ultima raccomandazione: “Buona manifestazione, ma si ricordi che siamo tutti migranti… Io mi chiamo… e lei come si chiama?”.
Cosa c’entra col vangelo della terza domenica di Avvento? C’entra eccome.
Sicuramente quella donna si è chiesta: “Che cosa debbo fare davanti a questo manifestante?”. E ha risposto in modo costruttivo, senza urtare, con eleganza e simpatia, con verità.


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