Attendere è composto da ad e tendere:
dice tensione, protendersi verso. È un atteggiamento attivo, una ricerca di
qualcosa che ci sta davanti e che speriamo ardentemente di trovare, anche se
ancora non si vede.
Aspettare viene invece da auspicere, guardare. È un atteggiamento
più passivo: la cosa ci è già davanti, prima o poi arriverà comunque.
La prima parola è inquieta, la seconda tranquilla e rassegnata.
Anche se non ci fosse nessuna promessa, e quindi
nessuna speranza, continueremmo comunque ad attendere,
perché non possiamo vivere senza essere protesi
verso. La ricerca, anche quella verso l’ignoto, fa parte della nostra
natura umana.
L’aveva ben compreso Cesare Pavese che, nel suo Mestiere di vivere, scriveva: “Qualcuno
ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?”.
Tanto più noi cristiani, che siamo carichi di
speranze, perché ci sono state rivolte tante promesse, o meglio, una sola: l’Atteso
verrà.
Mi piace pensare all’Avvento più ad un tempo di attesa
che non di aspettativa, un tempo di inquietudine che non di remissione paziente.
È vero che aspettiamo qualcosa (o meglio, Qualcuno) che
già sappiamo avverrà (o meglio, verrà).
Non per questo l’Avvento è privo di mordente: come
verrà Colui che aspettiamo? che volto avrà? L’aspettativa si carica allora di
attesa, di ricerca, di novità. Quest’anno il Natale non sarà come lo scorso
anno.
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