domenica 2 dicembre 2018

Avvento: attesa o aspettativa?


Attendere è composto da ad e tendere: dice tensione, protendersi verso. È un atteggiamento attivo, una ricerca di qualcosa che ci sta davanti e che speriamo ardentemente di trovare, anche se ancora non si vede.
Aspettare viene invece da auspicere, guardare. È un atteggiamento più passivo: la cosa ci è già davanti, prima o poi arriverà comunque.
La prima parola è inquieta, la seconda tranquilla e rassegnata.

Anche se non ci fosse nessuna promessa, e quindi nessuna speranza, continueremmo comunque ad attendere, perché non possiamo vivere senza essere protesi verso. La ricerca, anche quella verso l’ignoto, fa parte della nostra natura umana.
L’aveva ben compreso Cesare Pavese che, nel suo Mestiere di vivere, scriveva: “Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?”.
Tanto più noi cristiani, che siamo carichi di speranze, perché ci sono state rivolte tante promesse, o meglio, una sola: l’Atteso verrà.

Mi piace pensare all’Avvento più ad un tempo di attesa che non di aspettativa, un tempo di inquietudine che non di remissione paziente.
È vero che aspettiamo qualcosa (o meglio, Qualcuno) che già sappiamo avverrà (o meglio, verrà).
Non per questo l’Avvento è privo di mordente: come verrà Colui che aspettiamo? che volto avrà? L’aspettativa si carica allora di attesa, di ricerca, di novità. Quest’anno il Natale non sarà come lo scorso anno.


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