Esco
dall’ufficio nella centralissima Roma.
Mentre
metto il casco, prima di salire sulla moto, vedo una giovane donna africana in
lacrime, seduta su un angolo del marciapiede, con una bambina piccolissima in
braccio.
Devo
sbrigarmi, perché i due bambini a casa mi aspettano. E poi a ogni angolo c’è qualche
bisognoso.
Ma
forse… Mi tolgo il casco e mi rivolgo alla donna:
- Parli
la mia lingua?
-
Sì.
-
Perché piangi?
- Mi
hanno chiamato dal mio Paese per dirmi che il mio bambino ha avuto un
incidente, ha le gambe rotte. Non è come qui, là non operano se prima non paghi
e non abbiamo i soldi per l’operazione.
-
Quanti soldi ci vogliono?
-
Circa 250 euro.
Parlo
ancora con lei. Abita a Tor Pignattara. È venuta in centro per vedere se trova un aiuto in
qualche centro di accoglienza. Non è riuscita in niente.
Non
posso proprio più trattenermi. Le chiedo il numero del cellulare.
A
casa contatto alcuni amici. Poi mi dico che non è a caso che ho trovato quella donna
proprio davanti all’ufficio. Perché non parlare con i colleghi? Siamo 15. Mando
un messaggio a tutti. Non abbiamo mai fatto una cosa del genere. Tra l’altro siamo
di idee molto diverse. Tutti mi rispondono subito. Il giorno dopo abbiamo già
raccolto 200 euro. Una collega mi dice: “50 euro sono 50 euro, ma per me non
fanno una grande differenza mentre per quella donna sì: li aggiungo io”.
Contatto
l’africana e l’invito a venire in ufficio. Viene e tutti ci mettiamo attorno a
lei, ascoltiamola sua storia. La bambina che ha in braccio ha sei mesi e il bambino che ha avuto l'incidente cinque anni; non lo vede da quando è partita per l’Italia tre anni fa. Prendiamo
contatto con la famiglia nel suo Paese…
Me l’ha raccontato oggi Maria.
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