“Apa
Serapione, qual è la settima parola di Maria?”, chiese apa Pafnunzio.
“La
settima parola? Proviamo a contarle: due all’angelo e il Magnificat, fanno tre;
una a Gesù dodicenne e due a Cana, altre tre. Sono sei”.
“Ho
sempre pensato che fossero sette, come le sette parole di Gesù in croce”.
Il
sabato successivo i solitari si incontrarono di nuovo. Apa Pafnunzio portò le pastinache,
apa Filagrio i datteri, apa Meghezio le focacce, apa Epifanio le noci… Ognuno dei
sette monaci aveva un dono per l’altro e insieme “fecero carità”.
Prima
di riprendere la via del ritorno verso le proprie celle, Apa Serapione si
rivolse ad apa Pafnunzio: “Avevi ragione. C’è una settima parola, ma il Vangelo
di Luca non la riporta. Dice soltanto che Maria, entrata nella casa di
Zaccaria, salutò Elisabetta. Pronunciò certamente delle parole, perché
Elisabetta afferma di avere udito il saluto, non si trattò dunque di un
semplice gesto. Ma in cosa consistette il saluto non è dato di sapere”.
A
sera apa Pafnunzio, seduto sulla soglia della cella, guardava le stelle
appuntate sul velluto nero del cielo e cercava se, nel gioco delle
costellazioni, avessero scritto la settima parola della Vergine, ma non ne
trovò segno. Guardò allora nel proprio cielo e ne trovò una soltanto: “Shalom”.
Forse era semplicemente questo il saluto della giovane Vergine alla parente
anziana. Non avrà detto di più? Forse avrà aggiunto l’appellativo: “Shalom,
Elisabetta”. Tutto qui? Non era proprio una grande parola. Forse per questo
Luca non l’aveva ritenuta degna di menzione.
Eppure
l’effetto era stato sorprendente. Il bambino nel seno di Elisabetta era sobbalzato.
Era bastata quella semplice parola? Apa Pafnunzio sapeva bene che non era stata
una parola a far sussultare Giovanni, ma la presenza di Gesù che Maria portava
in sé. Eppure Gesù aveva bisogno di chi lo rivelasse e Maria disse
semplicemente “Shalom, Elisabetta”. Non un grande discorso, soltanto una parola
e un nome, quanto basta per mostrare affetto e interesse.
Dietro
quella parola c’era la Parola, che aveva risvegliato la parola viva che abitava
Elisabetta, che a sua volta accese l’anima di Maria che comprese ancora più
profondamente la Parola che era in lei e cantò il Magnificat.
Basta
poco, si disse apa Pafnunzio, una semplice espressione di affetto sincero, perché
la parola che è in me prenda vita, così come le parole dei fratelli della
laura.
Il
sabato successivo si recò al consueto luogo d’incontro e salutò i fratelli ad
uno ad uno: Shalom, Serapione; Shalom, Epifanio; Shalom, Teodoro; Shalom,
Meghezio; Shalom, Filagrio; Shalom, Agatone.
La
parola che abitava ognuno dei sette sussultò di gioia e l’unica Parola li penetrò
e li raccolse in uno.
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