Sulla Rivista Missioni OMI è apparso un ritratto di p. Marino Merlo attraverso le testimonianze di quanti lo hanno conosciuto e apprezzato.
Una presenza nascosta, lo sguardo
profondo, il sorriso discreto. Silenzioso, di poche parole, senza orpelli,
essenziale”. Sono le prime linee, asciutte come lui, del ritratto che ho
sentito tracciare appena dopo la sua ‘partenza’. Come anche: “capace di
accogliere, ascoltare, comprendere, incoraggiare, discernere, guidare”; una
manciata di verbi che parlano di un lavoro in profondità. Per tanti è stato
“guida, padre e testimone”, come colgo in una delle tante confidenze. “La stima
che si è guadagnato sul campo ne faceva un faro indiscutibile”. La sua
collocazione storica è parsa chiarissima: “Ha saputo guidare la transizione da
uno stile di vita in declino ad un altro post conciliare, con una visione
centrata più sui dettami evangelici che sulle tradizioni di famiglia. È stato
per noi un po’ quello che Paolo VI è stato per la chiesa. Magari ha dovuto
soffrire perché tutto il corpo accogliesse la sfida del nuovo che veniva dallo
Spirito, ma ce l’ha fatta... È stato strumento di un passaggio epocale”.
A Marino
laziale.
La parabola
della vita di p. Marino Merlo ha raggiunto il suo apogeo negli anni trascorsi
nella comunità di Marino (Roma), al punto che egli si identifica, in certo
modo, con quella straordinaria avventura destinata a ridare ossigeno agli
Oblati italiani. “Quando abbiamo cominciato nel 1967-1968 - era solito
ricordare - erano gli anni della contestazione globale, nei quali tutto un
passato sembrava crollare. Non si capiva più niente. Anche dentro le nostre
istituzioni religiose tutto crollava. Nel giro di poco tempo le case di
formazione degli Oblati si sono chiuse. Bisognava ricominciare. Eravamo
all’indomani del Concilio Vaticano II, nella novità della sua proposta.
Bisognava lasciare le sicurezze del passato e intraprendere un cammino nuovo:
una grazia che ci attendeva”. Due anni dopo aver dato vita alla nuova comunità,
fu nominato maestro dei novizi, compito che svolse fino a quando venne nominato
superiore provinciale, nel 1983. Successivamente, dopo alcuni anni nei quali si
è dedicato a visitare e aiutare i missionari OMI italiani sparsi nel mondo, nel
1996 è approdato allo scolasticato di Frascati-Vermicino dove è rimasto fino
alla sua partenza per il Cielo, il 23 maggio scorso. In pratica è stato
formatore degli Oblati per tutta la vita, a cominciare dagli anni precedenti la
sua andata a Marino, quando lavorava nella comunità dei giovani aspiranti a
Firenze.
Una biografia
che, coerente con il carattere, non presenta eventi sensazionali, giocata tutta
in un profondo rapporto interiore con Dio, nella costruzione paziente della
comunità e nella formazione delle persone.
Esempio per i giovani
Lasciamo la
voce agli Oblati più giovani, gli scolastici, in mezzo ai quali e per i quali
p. Marino ha vissuto in questi ultimi anni. «Ciò che maggiormente mi ha
edificato sono stati i suoi ‘lunghi silenzi’, a volte imbarazzanti. Il suo
atteggiamento mi faceva comprendere che, per cogliere la Volontà di Dio, più
che parlare bisogna ascoltare. Mi è capitato spesso di confessarmi con lui e
ogni volta facevo l’esperienza “dell’abbraccio del Padre Misericordioso”».
Così Giovanni Giordano, colpito anche per un
ulteriore atteggiamento di p. Marino, la profonda passione e l’interesse per la
chiesa universale e il mondo intero. «Seguiva con estrema attenzione papa
Francesco, i suoi discorsi, le catechesi, i suoi viaggi e pregava tanto per lui
e per la chiesa. Aveva a cuore le sorti del suo Paese, ma anche gli altri
popoli. Alcuni mesi prima della sua partenza per il cielo si era svolto il
referendum abrogativo sulla “durata delle trivellazioni in mare”, questione che
poco avrebbe potuto interessare ad un ultraottantenne; egli invece, anziano,
ammalato e quasi cieco, mi chiese di accompagnarlo al seggio elettorale per
esercitare il suo diritto di voto».
Per Patrick Vey, scolastico della Germania,
il segreto stava nel profondo rapporto con Dio: «Aveva dato il primo posto a
Gesù e tutto era centrato su di Lui. Mi impressionava il suo modo di celebrare
la messa. Sottolineava spesso l’importanza della celebrazione eucaristica per
costruire una comunità con Gesù Cristo come centro. Ci dava una vera
testimonianza di come Gesù possa essere veramente tutto: amico, fratello,
maestro, Signore, Dio». Il rosario!
È rimasto
impresso anche in Marcel T. Sarr, del
Senegal: «Ogni pomeriggio verso le 5 o le 6 lo trovavi in giro a recitare
il rosario. Era segno di una forte devozione a Maria e del desiderio di pregare
per gli altri. Spesso consigliava anche a noi di recitare sempre il rosario».
Anche p. Alessandro Scaglia, che ha vissuto la
sua formazione con lui per sette anni, porta con sé il ricordo di una persona
di profonda e costante preghiera. «Era affezionato soprattutto al rosario. Ne
recitava più di uno al giorno. Più volte mi sono recato da lui per chiedere
consiglio in qualche situazione particolare e sempre mi ha indicato il rosario
come via per affidare a Gesù, per le mani di Maria, le mie paure, i desideri,
le aspirazioni».
Ugualmente Andriy Havlich, dell’Ucraina: «Tante
volte l’ho visto con il rosario in mano, in cappella, a pregare da solo. Era di
poche parole e quelle volte che ho parlato con lui, quanto mi ha detto mi ha
segnato profondamente. Le sue omelie, erano centrate su Gesù e su Gesù in mezzo
a noi. Una volta, durante la giornata, mi aveva ripreso. Nello stesso giorno
alla sera, mi ha cercato per chiedermi scusa. Diceva che non poteva andare a
dormire se prima non si riconciliava con il fratello».
Il forte timbro
spirituale ha toccato Joseph Sene del
Senegal: «Spesso negli incontri di accompagnamento spirituale, puntava
fondamentalmente su tre pilastri che per lui, reggono la nostra vita. Il primo,
da cui dipendono gli altri due, e che per lui era il più importante, è il
rapporto con Gesù. Spesso i nostri incontri cominciavano con questa domanda: «Come va con
Gesù?» Gesù era per lui il centro di tutto il nostro vivere e stare
insieme, o meglio, la nostra ragione di essere. Poi seguiva con il secondo
punto, «Come va con i fratelli?». Il rapporto
con Gesù aveva evidentemente conseguenze nelle relazioni fraterne. Infine
domandava: «Qual è il tuo rapporto con te stesso?». L’amore per
Gesù lo spingeva ad annunciarlo con zelo e passione. Si intuiva che aveva
vissuto e stava vivendo una vera e reale storia d’amore».
Joel Faye, senegalese: «di p. Marino
mi sono rimaste impresse soprattutto le sue omelie, la loro profondità e
chiarezza. Anche se a volte mi ‘urtavano’, mi hanno portato a riflettere di più
sulla vita di fede. Mi erano talmente utili rapporto con la Parola di Dio».
Dopo i giovani
in formazione, la parola al loro superiore, p. Gennaro Rosato, che in questi ultimi anni è stato anche
superiore di p. Marino: «Di lui si potrebbero mettere in rilievo tante cose. Ad
esempio la sua volontà ferma ad avere come punto centrale della vita il Signore
Gesù, l’impegno a seguirlo fedelmente, la disponibilità radicale a fare la
propria parte per lasciarlo vivere in comunità. O anche la sua intelligenza
illuminata dalla fede che lo ha reso punto di riferimento per tante persone; la
sua capacità discorsiva, mai banale; la profondità dei suoi interventi
formativi... Ciò che però mi ha toccato particolarmente è stata la sua umiltà e
la sua pronta disponibilità a realizzare, a volte con mia sorpresa, quello che,
come superiore della comunità, gli chiedevo; fosse anche qualcosa che gli
sarebbe costato».
Un sì costante
In uno scritto del 21 settembre 2007, p. Marino rivela il segreto della sua vita: un
"sì" costantemente ripetuto.
Gesù,
il mio primo "sì" 59 anni fa!
Questi
anni li considero meno di un giorno.
Gesù,
oggi il mio "sì"
come fosse il primo, come fosse l'ultimo
come
fosse l'unico, e nient'altro.
Gesù,
grazie d'avermi svelato il tuo Amore Abbandonato.
Gesù
oggi il mio sì per questo Amore che tu vuoi vivere in me. Vieni così, come
vuoi, quando vuoi. Gesù ti chiedo solo di aiutarmi
a riconoscerti subito per poterti dire sempre di "sì".
Il ricordo della nipote Chiara Merlo
È difficile esprimere ciò che p. Marino è stato per noi famigliari durante il suo pellegrinaggio terreno:
di certo una guida spirituale su cui poter contare, ma ancor più una stella
polare, alla quale guardare per costruire rettamente le nostre famiglie, le nostre esistenze.
Pensando a p. Marino ci vengono in mente
alcune parole, alcuni atteggiamenti da lui incarnati.
PRESENZA. Di certo nei confronti dei confratelli, ma presenza costante anche per la famiglia d'origine
e per quelle che si sono poi costituite. Non ha mai mancato di accompagnarci
con la preghiera e di guidarci nei momenti più difficili e faticosi delle
nostre esistenze, aiutandoci a restare nella retta via nelle
situazioni più ingarbugliate e per noi senza speranza. TESTIMONIANZA. Nella sua
vita terrena è stato, e resta ora, testimone credente e autentico di Cristo,
capace di tradurre a tutti il Vangelo con parole semplici e comprensibili. Riflesso dell'amore del Signore e di quel centuplo che promette a chiunque lo segue.
FEDELTÀ. Un altro atteggiamento di cui non possiamo non far memoria: fedele a
Cristo in ogni cosa e alla madre chiesa, fedele anche dinanzi a richieste
apparentemente inspiegabili. MISSIONARIETÀ. Pellegrino nel mondo, il continuo 'girare' in terra di missione, nelle
nostre famiglie è stato fondamento di apertura all'altro, sensibilizzazione
verso i problemi dei poveri non vicini, spinta ad una carità autentica. DONO.
La sua vita in una parola.
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