Il padrone dirà al servo:
“Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato
e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”…
Così anche voi, quando avrete
fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi
inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Com’è odioso questo padrone;
odioso come tutti i padroni. Non è certo il ritratto di Gesù che è venuto per
servire e non per essere servito, che ha lavato i piedi come un servo e nel
Regno dei cieli farà mettere noi a tavola e ci servirà.
Nella parabola il padrone siamo
noi, sempre esigenti e mai contenti, e il servo è Gesù, che ha dato perfino la
vita per noi.
Come dunque è chiamato a vivere chi
è chiamato a seguire un simile Maestro, se vuole essere davvero suo discepolo?
In costante donazione, a servizio di tutti, senza pretesa alcuna.
Siamo sempre tentati di
commercializzare il nostro servizio: ti do se tu mi dai; ti ho dato quindi devi
rendermi il contraccambio.
Oppure arrivano puntuali le
recriminazioni: neppure ti accorgi del mio servizio? esprimi almeno un po’ di
gratitudine...
Invece no. Il discepolo di Gesù è
come il Maestro, ama di un amore concreto, fattivo; serve tutti perché questa è
l’espressione dell’amore: agisce “secondo natura”, quella del cristiano,
dell’uomo nuovo.
Il sole non può non illuminare e
scaldare, l’acqua non può non irrigare, il discepolo non può non servire: è un
semplice servitore, nient’altro che un servo (non “inutile”, ma “semplicemente”
servo, come nella giusta traduzione).
Ho lavorato, aiutato, mi sono
dato tutto? Ho fatto soltanto il mio dovere, ho fatto semplicemente quello che
bisognava fare.
Gesù ha fatto così e noi
possiamo farlo perché Lui l’ha fatto.
Quale libertà in questa
gratuità!
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