È
il titolo del convegno invernale delle COMI che si è tenuto a Roma, sul Celio.
Tre
giorni di profonda gioia vissuti senza paura di scoprire le fragilità di
ciascuno, dell’Istituto, quasi in riflesso o meglio una partecipazione alle
fragilità che vive la Chiesa e l’intera società. Parlarne insieme,
condividerle, portare i pesi gli uni degli altri, dà fiducia.
Gli
interventi e le testimonianze si sono succeduti con naturalezza contribuendo a creare
il clima di famiglia.
Tra
l’altro abbiamo guardato anche alle debolezze di sant’Eugenio, alla sua
passionalità, al desiderio spesso disatteso di essere contraccambiato nell’amore,
che egli distribuiva a piene mani. Quante delusioni si è dovuto vivere. “Nella
mia illusione – scrive ad esempio –, mi sembrava che, ad imitazione di Dio,
avrei potuto amare tutti gli uomini senza che ce ne fosse uno solo che non mi
restituisse l’affetto che avevo donato a lui”.
E
poi quante umiliazioni con quel suo caratteraccio che gli faceva fare delle
epiche sfuriate. Comunque passavano presto. Tante volte bastava che padre
Tempier gli dicesse: “E poi?”, perché tutto si calmasse.
Giraud,
uno storico della diocesi di Marsiglia descrive in maniera eccellente la sua
personalità: “Intransigente di fronte alle opposizioni, era disarmato dalla
docilità [...]. La sua umiltà era magnifica. Quando si accorgeva che il
carattere impetuoso gli aveva fatto colmare la misura, o che, pur avendo
ragione, lo aveva manifestato con rigore eccessivo, ritornava sui suoi passi
con rettitudine disarmante. È stato visto più volte, dopo aver rimproverato
pubblicamente un parroco, inginocchiarsi davanti a lui, chiedendogli di esser
confessato, e ricevere così il perdono sacramentale dallo stesso uomo che aveva
umiliato”.
Chi
non ricorda, al riguardo, la sfuriata che racconta uno dei suoi più fedeli e
amati discepoli, Timon-David: “Avevo il cuore gonfio e andai a trovarlo nella
casa di campagna dove stava riposando. Nessuno alla porta, nessuno
nell’anticamera. Sentendo ch’era dentro feci per ritirarmi, ma lui pure mi
aveva sentito. “Chi è?”, grida con voce grossa. “Son io, Monsignore”. “Chi ti
ha detto ch’ero qui? Un vescovo non può dunque avere un minuto di requie?”. “Scusi.
Monsignore, mi ritiro”, risposi tutto tremante. “No, una volta che sei qui, aspettami
nell’anticamera”. Un momento dopo sento un formidabile: “Avanti!”. Entro e gli
spiego balbettando il mio affare. Man mano che parlo m’accorgo che il cielo si
rischiara: ritorna buono, poi affettuoso, poi tenero, poi materno. “Ma, figliuolo
mio, perché non vieni a confidarti, quando hai qualche angustia? Non sono tuo padre?”.
E mentre mi abbracciava, sentivo scorrere le sue lagrime sulle mie guance. Non
ho conosciuto chi esercitasse una seduzione pari alla sua”.
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