La resurrezione di Lazzaro!
Mi vengono in rilievo tre osservazioni leggendo il denso
racconto di Giovanni.
1. La calma con la quale Gesù affronta la situazione. Gli
fanno sapere che l’amico sta male e lui continua tranquillamente il suo lavoro
e lascia passare due giorni preziosi. Poi gli ce ne vogliono altri quattro per
arrivare a Betania. Troppo pardi, Signore: hai fatto passare una settimana… Sia
Marta, sia Maria, sia i Giudei lo rimproverano: “Signore, se tu fossi stato
qui…”; “non poteva far sì che non morisse?”.
Quante volte vorremmo piegare Dio ai nostri ritmi, alle
nostre esigenze. Lui conosce i tempi meglio di noi.
2. Gesù ama davvero, con il cuore, in maniera molto umana.
Davanti al dolore di Marta e Maria il Vangelo dice che si commuove, anzi, “si
commosse profondamente” (ripetuto due volte!), rimane “molto turbato”, infine
“scoppiò a piangere”.
Scoppiò a piangere, dakryein, in greco, l’unica volta
che in tutto il Nuovo Testamento viene usata questa parola, molto diversa dal
“lamento”, klaien, di Maria e dei Giudei.
Un Dio che si commuove profondamente, che rimane molto
turbato, che scoppia a piangere davanti alla morte e al dolore che la morta
provoca. Non è un Dio lontano, impassibile, è Dio che s’è fatto vicino e umano,
capace di condivisione.
Anche noi siamo chiamati ad amare con l’intensità d’amore di
Gesù.
«Adoro i fremiti di Gesù e le sue lacrime ai piedi della
tomba di Lazzaro», scriveva sant’Eugenio de Mazenod riferendosi a chi gli
rimproverava di essere troppo sensibile e di piangere quando gli morivano gli
Oblati. «Non concepisco come possano amare Dio coloro che non sanno amare gli
uomini degni di essere amati. Non penso neppure lontanamente di disconoscere o
semplicemente di nascondere i miei sentimenti. Non posso fare altro che
ringraziare Dio per avermi dato un’anima capace di comprendere meglio quella di
Gesù Cristo, nostro Maestro. “Chi non ama non conosce Dio perché Dio è Amore”.
E questo amore non è speculativo e non astrae dalla persona. Bisogna amare qui
in terra per permettersi di amare Dio per il quale, nel vero senso, si amano le
sue creature, tanto che l’Apostolo dice “chi infatti non ama il fratello che
vede, come può amare Dio che non vede?”. Non c’è una via intermedia: “Abbiamo
questo comandamento: chi ama Dio ami anche il fratello”. Si studi san Giovanni,
si scruti il cuore di san Pietro e il suo amore per il divin Maestro, si
approfondisca, soprattutto, ciò che sgorgava dal cuore di Gesù Cristo che
amava, non solo tutti gli uomini, ma in particolare i suoi Apostoli e i suoi
discepoli, e poi si abbia il coraggio di venire a predicarmi un amore
speculativo, privo di sentimenti, senza affetto!».
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3. L’elemento centrale di tutto il racconto sono
naturalmente le parole di Gesù: “Lazzaro, vieni fuori!”. L’invito finale:
“Liberàtelo e lasciàtelo andare”, è ormai l’attestazione della liberazione da
ogni legame di morte. Gesù è davvero ciò che si è proclamato: Io sono la
“risurrezione e la vita”.
La domanda che mi pongo, nel mezzo della pandemia che stiamo
vivendo, è: cosa accadrà quando anche noi sentiremo: “Vieni fuori?”.
Siamo come Lazzaro chiusi in casa, legati mani e piedi.
Altro che quattro giorni!
Cosa faremo quando finalmente usciremo dalle nostre tombe?
Correremo all’impazzata nei centri commerciali, in pizzeria,
ci daremo a consumare più di quanto possiamo permetterci, torneremo ad essere
indifferenti gli uni gli altri…?
Se fosse così vorrebbe dire che non abbiamo imparato niente
da questa tragedia.
Non è questa la liberazione dalla morte che Gesù ha dato a
Lazzaro.
Dovremo avere imparato a stare con i nostri bambini, a prestare maggiore attenzione agli anziani, a
rispettare il lavoro umile di tante persone anonime.
Dovremo avere riscoperto l’importanza dei legami familiari e
di vicinato.
Dovrebbe essere caduto ogni tipo di barriera, sapendoci
tutti ugualmente vulnerabili, al di là delle differenze di culture e di
nazioni, come anche tra ricchi e poveri: il male comune ci fa capire il bene
comune. Saremo diventati più umani, più fratelli?
Dovremo avere acquistato un maggiore senso dello Stato e
dell’importanza della politica, del valore della società civile e dei suoi
servizi.
Dovremo essere diventati più umili: non siamo i padroni del
mondo, non possiamo sfruttare e manipolare la natura a nostro piacimento,
crederci invincibili a causa della scienza e della tecnica.
Dovremo avere imparato a prendere più tempo per pregare, a fidarci di Dio.
Dovrebbe essere cresciuta la nostra sete della Parola di Dio e dell’Eucaristia,
della comunità cristiana riscoperta luogo della presenza di Dio tra noi.
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