venerdì 20 marzo 2020

Anche loro condividono la solitudine con noi


  
Ieri
Oggi
Due immagini, tra le tante che fissano l’esperienza di questi giorni: il Papa che va da solo a incontrare il Crocifisso miracoloso di san Marcello al Corso e quello del Vescovo di Prato che mostra la Sacra Cintola a una piazza vuota.
Sembra che il Crocifisso e Maria condividano con noi la solitudine forzata dello stare a casa, facendosi sentire più vicini che mai.

Papa Francesco va da solo nel Corso e trova il Crocifisso, che non attorniato, come di solito da tanta gente, anche lui se ne sta chiuso in casa, da solo.

È un crocifisso amato a Roma. Il primo suo “miracolo” risale al 1519 quando, nella notte del 23 maggio, un incendio distrusse la chiesa. Il mattino seguente, agli occhi della gran folla di romani accorsi sul posto, si presentò una scena di grande desolazione: il tempio sacro era ridotto in macerie ma fra le rovine ancora fumanti, appariva integro il crocifisso dell’altare maggiore, ai piedi del quale ardeva ancora una piccola lampada ad olio. Questa immagine colpì molto i fedeli tanto da spingere alcuni di loro a riunirsi ogni venerdì sera per recitare preghiere ed accendere lampade.
Tre anni dopo l’incendio, Roma venne investita da quella che gli storici della città ricordano come la “Grande Peste”, un vero flagello che portò desolazione e morte. In preda allo sconforto il pensiero andò al crocifisso miracoloso di San Marcello e forte fu il desiderio di portarlo in processione per le vie della città. Questo sentimento popolare vinse anche il divieto delle autorità, che per paura di far sviluppare ulteriormente il contagio, avevano vietato qualsiasi assembramento di persone. Il Crocifisso dunque venne prelevato dal cortile del convento dei Servi di Maria, dove era stato temporaneamente sistemato, e portato in processione per le vie di Roma verso la basilica di San Pietro. La processione durò ben 16 giorni: dal 4 al 20 Agosto del 1522. Man mano che si procedeva, la peste dava segni di netta regressione, e dunque ogni quartiere cercava di trattenere il crocifisso il più a lungo possibile. Al termine, quando rientrò in San Marcello, la peste era del tutto cessata: Roma, ancora una volta, era salva.
Nella prima domenica di Quaresima del 2000, il 12 marzo, San Giovanni Paolo II celebrò la "Giornata del perdono", con la quale il Santo Padre, a nome di tutta la Chiesa, chiese pubblicamente perdono delle colpe del passato. Lo fece abbracciando quell’immagine miracolosa del SS. Crocifisso, esposto per l’occasione sull’altare della confessione della Basilica Vaticana.


Ieri
Oggi
Il 19 marzo, al termine del rosario, il vescovo Giovanni Nerbini esce, accompagnato dal sindaco Matteo Biffoni, sul Pulpito di Donatello e mostra la Sacra Cintola di Maria alla piazza, vuota. 

Questa “ostensione” esula dal calendario canonico. Ci vuole comunque la presenza del sindaco, perché due delle tre chiavi che aprono il luogo in cui è riposta, le ha in custodia il Comune.
Abitualmente la piazza è gremita. Questa volta è solitaria.
Le parole del vescovo sono potenti:

La Sacra Cintola, stasera, è tornata a legarci in modo specialissimo, facendoci sentire tutti – più che mai – una famiglia di famiglie, un’unica grande comunità, quella dei pratesi di vecchia origine e di nuova – più o meno nuova – provenienza. Penso ai cittadini di origine cinese: il virus in poche settimane sta iniziando ad abbattere muri che quasi trent’anni di convivenza non erano riusciti a scalfire.

Abbiamo compiuto un gesto molto importante per chi ha fede: mettere consapevolmente tutta la nostra vita e la nostra storia personale e comunitaria nelle mani di Maria che sappiamo essere Madre premurosa.
Questo tempo così difficile, carico di dolore per molti, può trovare un senso e una sua dimensione provvidenziale se sapremo tornare a dare valore al significato della nostra vita e alle relazioni con gli altri.
Tutto non sarà come prima, questa esperienza dolorosa ci cambierà e ci deve cambiare nel modo in cui guardiamo ai problemi del mondo. I morti da coronavirus sono numero importante, quanta sofferenza per queste persone proviamo tutti. Intanto ho scoperto che ogni giorno nel mondo muoiono di fame 7000 bambini e ho provato un senso di grande vergogna. Non riusciamo a scandalizzarci e a provare vergogna per questi bambini colpiti non da un virus sconosciuto ma da un sistema in cui siamo tutti corresponsabili. Non ci possiamo svegliare solo quando l’acqua tocca le nostre caviglie. La barca è una. Vivere dissennatamente mette in crisi il mondo intero.
Dopo decenni di cultura dell’individualismo, della frammentazione, del privato che prevale sulla vita comune, di colpo siamo costretti a riprendere consapevolezza che non possiamo fare a meno delle relazioni con l’altro. Le relazioni costruiscono una comunità.
Molti auspicano piuttosto sbrigativamente che tutto passi in fretta perché tutto torni come prima, laddove invece ci è richiesto di guardare in avanti per costruire un futuro nuovo, una nuova comunità.
Siamo ancora nel mezzo del guado ma guardiamo avanti, alla Pasqua.

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