“Moshe
metteva un disco sul grammofono, prendeva la mano di Sarah e la faceva girare
per tutte le stanze. Suonava quel giorno Non dimenticar le mie parole…”.
È un
passaggio assolutamente secondario nell’economia del libro, eppure, chissà
perché, l’autrice Mariastella Galli ha scelto proprio il titolo della canzone
del Trio Lescano (storpiata come sanno fare le pubblicità) per il titolo del suo
libro.
Forse
perché quel titolo rispecchia la leggerezza di una scrittura briosa, che ama zoomare
su tanti particolari, attenta alla battuta, anche dialettale, agli squarci della natura, con
personaggi umanissimi e veri.
Eppure
il romanzo è una storia drammatica e complessa che Galli trasforma in dolcezza, e
alla fine - un finale impossibile da immaginare almeno per un lettore come me - risulta una storia semplice.
Rievoca
la guerra di Spagna, le leggi razziali, l’Olocausto, le fughe degli ebrei, i
drammi della nascita e della morte… Senza tuttavia calcare la mano, lasciando
intuire piuttosto che documentare, tutto sublimato da un amore eroico e insieme
quotidiano.
Un
libro che si legge in un giorno e lascia nell’animo un profumo delicato.
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