Dimmi come preghi e ti dirò chi sei
“Gesù disse questa parabola per alcuni che avevano
l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri” (Lc 18, 9-14).
Quando pregare? Sempre, rispondeva Gesù con la parabola
della vedova e del giudice.
Il Vangelo di oggi continua con un’altra domanda: Come
pregare? Ed ecco un’altra parabola, anche questa volta con due personaggi
tipici e antitetici.
Mi ha colpito l’introduzione alla parabola, rivolta a quelli
che hanno la presunzione di essere giusti e disprezzano gli altri.
C’è un contrasto incolmabile tra l’idea di sé e l’idea dell’altro:
- Io sono dalla parte giusta, io sono bravo e onesto, io
capisco come stanno le cose, io, io… C’è la “presunzione” di essere giusti.
- Gli altri non capiscono niente, sono ignoranti, maleducati,
disonesti… Può anche essere vero, quello che è sbagliato è che, perché sono
così, io li “disprezzo”.
È questa parola “disprezzo” che mi ha colpito nel vangelo di
oggi, il disprezzo per chi è povero, ignorante, emarginato, ma anche per chi
sbaglia, per chi è un delinquente. Gesù per le sue parabole sceglie sempre
persone sospette, questa volta un pubblicano, letteralmente uno che
amministra il denaro pubblico. Oggi come allora si associavano queste
persone con la corruzione. E poi un esattore di tasse! Anche oggi l’agenzia
delle entrate è l’istituzione più odiata. Nella Palestina di allora era ancora
peggio: l’esattore delle tasse era a servizio di una potenza straniera e nemica,
i romani, praticamente un rinnegato.
Ammettiamo che gli altri siano peggiori di noi, che noi, per
una sorte favorevole, abbiamo ricevuto una buona educazione e quindi siamo
buoni e onesti. Ci sono persone oggettivamente cattive. Ci consente questo di disprezzare
chi non è come noi?
“Non sono come pubblicano”, dirò con disprezzo e con
autocompiacimento il fariseo: “ti ringrazio di non essere come lui”.
Lo so che il focus della parabola è un altro: la presunzione
di essere giusto da una parte e la consapevolezza di essere un povero peccatore
dall’altra.
Il primo atteggiamento rende superfluo Dio, non ha bisogno
neppure di pregarlo. Il fariseo, commenta sant’Agostino «Era salito per
pregare, ma non volle pregare Dio, bensì lodare se stesso». La Vulgata traduce
bene: «In se confidebant tamquam iusti»: la parabola è per chi pone tutta la
fiducia in se stesso. Se si è a posto che bisogno c’è di Dio? Posso fare da me.
Il secondo atteggiamento è riconoscere la propria miseria e
stare lì, davanti a Dio, in silenzio, sapendo che o ci salva lui o siamo
finiti.
La parabola spiega dunque “come” pregare: mettendosi davanti
a Dio a cuore aperto, senza presunzioni, così come siamo, riconoscendo quello
che siamo davvero, non come facciamo finta di essere davanti agli altri, con la
fiducia di un bambino, abbandonandosi alla misericordia di Dio, venuto per i
peccatori e non per i giusti, per quelli che si riconoscono peccatori e non per
quelli che presumono di essere giusti.
Il focus è “come” pregare, ma mi è rimasto di traverso quel
“disprezzano gli altri” che introduce la parabola. Mi verrebbe dunque da
parafrasare il proverbio: “Dimmi come preghi e ti dirò chi sei”.
Se preghi come il pubblicato sarai una persona
misericordiosa, che non disprezzerà gli altri, ma proverà per loro lo stesso
sentimento di misericordia sperimentato davanti a Dio.
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