Di Grazia Deledda avevo letto soltanto –
nella notte dei tempi – Canne al vento.
Ecco adesso con un altro suo romanzo,
semplice, che rievoca antichi mondi contadini, a forti tinte e passioni: Il
Dio dei viventi.
Era tempi – un centinaio d’anni fa – quando la
fede (poco importa se intrisa di superstizione) era dentro l’orizzonte della
vita, la impregnava, la inquietava.
Anche quando volevi scartarla rimaneva
comunque presente e costringeva alla verità.
Per Deledda – per i suoi personaggi – la vita
non è mai indifferente, banale. Tutto è vissuto con pienezza e passione. E quindi
tutto è sofferto, fino a quando non giunge la liberazione interiore dal
rancore, dal calcolo, dai soldi.
Altrimenti tutto ci è nemico, perché – ed è l’Autrice
che si rivolge a Zebedeo, il principale personaggio del libro – “Il
nemico è dentro di te mentre lo credi dietro la siepe; e tutto questo perché ti
sei dimenticato che Dio vuole si viva giorno per giorno come gli uccelli dell’aria
e gli steli dei campi”.
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