martedì 15 ottobre 2019

Dove si impara la mitezza?


“Gli ospedali sono luoghi dove si impara la mitezza”. Se me lo scrive una persona saggia come Luigino Bruni è certamente vero.
Negli ospedali, come in pochi altri luoghi, ci si rimette completamente in mani di altri, disarmati. Inerme e mite mi pare siano sinonimi, e inerme letteralmente vuol proprio dire “senza armi”. Il mite mette da parte ogni difesa.
Il dizionario Treccani, definisce mite una persona che ha carattere dolce e umano, disposto alla pazienza e all’indulgenza. L’origine latina del termine («tenero, maturo», detto dei frutti) si può addirittura estendere a fattori climatici: gli inverni senza freddo sono «miti», quasi anticipo di primavera.

Gesù aveva riservato la mitezza come un suo ritratto «prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,29). Matteo, quando lo vede entrare in Gerusalemme, su un asinello, cavalcatura della pace, riconosce la mitezza di Gesù e cita la Scrittura: «guarda il tuo re viene a te: egli è umile e viene seduto su un asino» (Mt 21,5).
Per Gesù è oggetto di beatitudine: “Beati i miti, perché erediteranno la terra”.
Un grande esegeta di altri tempi, Spicq, faceva notare che in questa beatitudine «si esalta non già la condizione sociale, ma la sottomissione religiosa e la fiducia in Dio, che si traduce in pazienza e dolcezza. La felicità stabile di pace e sicurezza loro promessa è il “possesso della terra”, non intendendo l’occupazione della terra (promessa), terra d’Israele in senso politico, e ancor meno “tutta la terra”, il mondo intero, bensì l’entrata nel regno di Dio quaggiù e, da ultimo, in quello dei cieli».
Non è piccola cosa la mitezza, se essa ha bisogno dell’intervento dello Spirito Santo: è uno dei suoi frutti (cfr Gal 5,23).

Nella sua lettera sulla santità, Gaudete et exultate, papa Francesco nota: «La mitezza è un’altra espressione della povertà interiore, di chi ripone la propria fiducia solamente in Dio. Di fatto nella Bibbia si usa spesso la medesima parola anawim per riferirsi ai poveri e ai miti. Qualcuno potrebbe obiettare: “Se sono troppo mite, penseranno che sono uno sciocco, che sono stupido o debole”. Forse sarà così, ma lasciamo che gli altri lo pensino. È meglio essere sempre miti, e si realizzeranno le nostre più grandi aspirazioni: i miti “avranno in eredità la terra”, ovvero, vedranno compiute nella loro vita le promesse di Dio. Perché i miti, al di là di ciò che dicono le circostanze, sperano nel Signore e quelli che sperano nel Signore possederanno la terra e godranno di grande pace (cfr Sal 37,9.11). Nello stesso tempo, il Signore confida in loro: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola” (Is 66,2)» (74).

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