Questa mattina l’arcivescovo Felix Machado
ha ricordato che il dialogo interreligioso si esprime a quattro livelli:
dialogo della vita, dottrinale, sociale, esperienziale. Quest’ultimo è il più
profondo, perché va al cuore di ogni religione. Marcello Zago scriveva in
merito: «Il dialogo esperienziale è la
condivisione di esperienze e metodi di cammino spirituale, come la preghiera,
la meditazione, l'ascesi. Si cerca cosi di capire l'altro dall'interno e di
farsi capire da esso e cosi crescere insieme. Si intende anche promuovere i
valori e le vie spirituali in un mondo portato al materialismo. […] Il dialogo
esperienziale facilita la testimonianza reciproca più autentica, in quanto non
si rifà a dottrine, riti e strutture oggettive ma condivide l’esperienza
personale. La religione dell’altro appare in tutta la sua profondità o la sua
superficialità (Buddismo e cristianesimo
in dialogo. Situazione, rapporti, convergenze, Città Nuova, Roma 1985, p. 203-204).
È questo il tipo di dialogo che
cerchiamo di portare avanti con i nostri amici Indù, con i quali abbiamo già
avuto numerosi incontri in questi anni, qui, a Roma, in altre parti del mondo. Al
simposio di questi giorni sono presenti diversi tradizioni: Gandiani, Rama
Krisna, altri movimenti induisti, Bahai. Una ricchezza straordinaria in umanità
e in esperienze spirituali. Sono quasi tutti professori di università di Mumbai
e del sud dell’India.
L’oggetto del seminario non è la
mistica in generale ma, su loro richiesta, l’esperienza mistica di Chiara
Lubich. Per questo siamo venuti Judy e io della Scuola Abbà per fare una
sessione della nostra Scuola proprio con queste religioni. Leggiamo i testi mistici
di Chiara e vi lavoriamo insieme. Un’esperienza unica, perché questi testi,
letti da culture religiose indiane hanno una risonanza tutta particolare.
A sera danza sacra, che rievoca
storie di dei e di uomini… con la leggerezza, la finezza, l’eleganza tipiche di
queste tradizioni.
No dei testi che oggi abbiamo letto
insieme si intitola Guardare tutti
i fiori. Ecco alcune parole di introduzione che ho offerto agi Indù, nel
mio solito inglese…
Lo scritto “Guardare tutti i fiori”
è del 6 novembre 1949.
In quel mese Chiara, con le sue
compagne, stava vivendo una parola di Gesù, riportata nel Vangelo: “Lucerna del tuo corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è puro,
tutto il tuo corpo sarà illuminato” (11, 34).
Chiara
commentava così questa parole: “Se il tuo occhio è semplice, chi guarda
in esso è Dio”. Avere l’occhio puro, secondo il commento di Chiara, significa
avere lo sguardo di Dio, essere e vivere in Dio, dunque nell’amore, nel totale
dono di sé; il contrario è l’occhio non puro, che guarda alle creature e alle
cose per possederle.
Attraverso lo sguardo di Dio passa
il suo amore, che è un amore capace di generare comunione, fraternità, unità,
come spiega Chiara in quella pagine: “Guarda dunque ogni fratello amando e
amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato. Così l'amore è amare ed
esser amato”.
Se si ha l’occhio puro si vede la
realtà come Dio la vede. Cosa vede Dio? Dio vede in tutti una sua creatura. Egli
è Padre della sua creatura. La visione che Chiara ha di Dio come Amore la porta
a scoprire, attraverso il suo sguardo, di cui è resa partecipe, la realtà vera
di ogni creatura, la vocazione all’amore propria di ogni creatura, e la
vocazione di ogni creatura al rapporto di amore che lega tra loro ogni
creatura, in una relazione d’unità e insieme di distinzione.
Da qui la grande meraviglia e il
grido di gioia di Chiara, che scrive: “Dunque: amore le piante, amore
gli animali, amore le stelle, le pietre, i sassi, i fiori, il cibo, il tavolo,
il letto, il vestito, ecc ... e tutti figli miei…: tutto va trattato con
l'amore del Padre verso il Figlio! Che cuore largo e che sorriso di Dio sulle
cose attraverso i nostri occhi! Tutt'è sostanza d'amore”.
Questo sguardo le fa capire in modo
nuovo il cammino di ogni persona e di tutta l’umanità verso Dio.
Nella nostra tradizione cristiana abitualmente si
vede l’anima come una stanza nella quale Dio scende ad abitare. Così la singola
anima si spalanca verso il Cielo e inizia il suo cammino verso Dio.
Ora Chiara non vede più una singola
anima che partecipa della vita di Dio, ma un gruppo di anime che insieme
accolgono Dio, fanno esperienza di Dio in mezzo a loro, e insieme camminano
verso Dio.
Non è più una mistica individuale,
ma una mistica comunitaria: soltanto insieme si può raggiungere Dio.
Nella tradizione cristiana vi è
l’immagine dell’albero: l’amore di Dio è rappresentato come la radice
dell’albero, capace di dar vita all’amore del prossimo rappresentato come la
chioma.
Chiara fa propria questa immagine,
ma la completa. L’amore di Dio è insieme radice e chioma. Anche l’amore del
prossimo è insieme radice e chioma: “Noi abbiamo una vita intima ed una
vita esterna – aveva scritto due mesi prima, il 6 settembre –. L'una e l'altra
una fioritura; l'una dell'altra radice; l'una dell'altra chioma dell'albero
della vita nostra. La vita intima è alimentata dalla vita esterna. Di quanto
penetro nell'anima del fratello di tanto penetro in Dio dentro di me; di quanto
penetro in Dio dentro di me di tanto penetro nel fratello”.
La continuità con la spiritualità
tradizionale è accolta e insieme superata introducendo un nuovo paradigma:
l’altro mi dà Dio, l’amore verso l’altro torna come pienezza d’amore di Dio.
Questo vale nei rapporti tra le
persone. Io mi domando: non potrà essere questo un paradigma anche per il
rapporto tra le religioni? C’è chi si ferma a contemplare il proprio fiore, la
propria religione. C’è invece chi si sente chiamato a guardare anche agli altri
fiori, alle altre religioni, per cogliere la bellezza che c’è in esse e per
andare insieme verso Dio.
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