Nel Vangelo di Marco, per trovare una seconda promessa, occorre inoltrarsi fino all’inizio della seconda parte del suo scritto, uno dei momenti più drammatici. Gesù stava andando verso i villaggi attorno a Cesarea di Filippo, ai confini tra il territorio giudaico e il mondo pagano.
Alle pendici del monte Hermon
la località era conosciuta come Bànyas, dal nome di Pan, il dio della campagna,
delle greggi e degli armenti. Luogo ameno, che anche oggi, con le acque che
sgorgano abbonanti e la rigogliosa vegetazione, infonde un senso di pace. I rossastri
ruderi solitari a ridosso dell’imponente ammasso roccioso lasciano intuire la
grandiosità del tempio costruito da Erode il Grande in onore dell’imperatore
Augusto.
Proprio durante la sua
peregrinazione fuori della Galilea, al di là del Giordano, Gesù, che fino ad
allora voluto mantenere nascosta la sua vera identità, annuncia finalmente il
senso della sua missione e della sua messianicità: il Figlio dell’uomo dovrà
soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli
scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.
Nelle orecchie dei discepoli
l’ultima parola, risuscitare, scivolò via come le acque di Bànyas, troppo
oscura per essere capita. Le altre invece li impressionarono terribilmente, al
punto che Pietro lo prese da parte e lo rimproverò: non si dicono neppure per
scherzo cose del genere!
Allora Gesù le rivolse non
soltanto ai suoi pochi intimi, ma alla folla, convocata assieme ai discepoli.
Stava per iniziare il suo grande viaggio che lo avrebbe riportato prima in
Galilea poi a Gerusalemme, dove si sarebbe compiuta la sua profezia di morte e
risurrezione. Non sarebbe stato un viaggio solitario, invitava piuttosto tutti
a seguirlo, condividendone il destino, fino a rinnegare se stesso e prendere la
croce come lui e con lui. Non si può seguire Gesù altrimenti.
Ed ecco la grande promessa: “Chi
vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per
causa mia e del Vangelo, la salverà”.
Perdere la vita.
Semplicemente morire. È il destino del discepolo di un Maestro che è venuto per
dare la vita. Un Maestro che ha avuto paura davanti alla morte e ha chiesto se
era possibile salvare la propria vita piuttosto che offrirla per la salvezza
del mondo: “Se è possibile, passi da me questo calice”. Se non è stato facile
per lui, non lo sarà certamente per noi. L’istinto di autoconservazione suggerisce
l’impossibile pur di indurci a fare ciò che piace a noi, ad evitare di
sacrificarci per gli altri: “mors tua, vita mea”. Eppure è proprio questo che
il Maestro ci chiede: “mors mea, vita tua”, pensare all’altro e non a sé, morire
a sé per dare la vita all’altro, in una parola, vivere per l’altro. Ma chi me
lo fa fare?
Tutti e quattro gli
evangelisti riportano questa parola di Gesù. Luca e Giovanni omettono le motivazione che inducono a perdere la vita, Matteo afferma che è a causa di Gesù,
Marco completa asserendo che la si perde a causa di Gesù “e del Vangelo”. Ecco
chi me lo fa fare: il movente è Gesù e il suo Vangelo. Dà la vita con lui, come
lui l’ha data, perché egli mi fa una cosa sola con sé: seguirlo vuol dire
diventare un altro Gesù, nell’identificazione di vita e di destino. E per chi
dare la vita? Ancora una volta per Cristo, che si identifica in ogni persona, e
quindi do la vita per la vita di chi mi sta accanto; e per il Vangelo, perché
si compia l’annuncio di Cristo e Cristo diventi tutto in tutti.
Finisce qui, con la morte?
Gesù non ha dato la vita e
basta, l’ha ripresa, nella sua risurrezione. Morto come un chicco di grano è
risorto come una spiga, attirando tutti a sé. Anche a chi lo segue fino in
fondo egli protette la fecondità del chicco di grano che muore, la
resurrezione, una vita nuova, piena come una spiga, capace di trascinare con sé
l’umanità intera.
È promessa: “ci perde la sua
vita… la salverà”. La ritrova non come quando l’ha perduta, ma infinitamente
arricchita, una vita che non deperisce con gli anni, ma che rimane per sempre,
nella gioia sovrabbondante che non ha fine. È una promessa: la vita è salva!
Non saremo noi a salvarci, sarà lui stesso a salvarci, a farci risorgere, così come
lui è stato risuscitato dal Padre. È una promessa.
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