Sono quasi 350 le vetrate incastonate sulla grande piramide
della basilica di Notre-Dame de la Madeleine. Ogni giorno mi sono fermato ad
ammirarle, con calma, una per una. Sono nate per avviare alla contemplazione: “Una
vetrata è una finestra sul cielo, evoca il mondo dell’aldilà. Lo stesso vetro
della vetrata è una materia mistica che riveste tutte le sfumature e le tutte
le tonalità seguendo il grado o l’angolazione della luminosità della luce”.
Sono parole di p. Jan Tillemans, l’Oblato che ha dedicato otto anni al
compimento di questa straordinaria opera d’arte.
Nato esattamente un secolo fa in Olanda in una famiglia di
artisti, aveva iniziato i suoi studi in questo campo, ma quando entrò in noviziato
gli fu chiesto di lasciare tutto e di non eseguire neppure uno schizzo. Una
volta diventato sacerdote poté riprendere gli studi all’Accademia delle belle
arti ad Amsterdam e Maastricht, per otto anni, primo prete a sedersi su quei
banchi. Aveva già realizzato varie vetrate in Olanda, quando il superiore
generale gli chiese se era disposto a intraprendere la grande opera per il
nuovo santuario che si stava costruendo in Canada.
Arrivò al Cap nel 1956 e vi rimase un anno a studiare l’architettura
della chiesa, le variazioni di luce del cielo nel volgere delle stagioni, ad abbozzare
disegni… Poi tornò in Olanda dove lavorò a lungo in uno dei più importanti
atelier, facendo arrivare le lastre di vetro dalla Cecoslovacchia e dalla
Germania.
“Le vetrate – diceva – sono un mosaico di vetro antico che
soltanto la luce deve far cantare… Nelle mie vetrate occorre vedere tutto in
maniera simbolica… Una vetrata la si guarda, non la si spiega; ognuno la
contempla con la sua sensibilità”.
E da contemplare c’è davvero tanto: storie della Bibbia, di Maria,
del Canada e del santuario, santi e virtù, angeli e rosario… Vi ho passato
delle ore a contemplare. “Le vetrate – diceva p. Jan – devono far cantare i
muri. L’impiego dei colori è ritmo, canto. Occorre guardare le vetrate a
distanza come una musica di colori. È tutto questione di colori: volti, mani,
vesti, tutto deve integrarsi nell’insieme. Siamo pittori della luce”.
Era consapevole di aver lasciato un’opera che sarebbe
rimasta: “Se, almeno una volta nella vita, si arriva a fare qualcosa che vale
veramente la pena, allora non si vissuto
invano”.
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