San
Carlo Borromeo e san Carlo Giuseppe Eugenio de Mazenod: tutti e due nobili e
conti, titolo questo che Eugenio rivendicò presso la corte di Napoli e Palermo;
tutti e due vi rinunciarono per un titolo ben più nobiliare: servo di Cristo;
tutti e due vescovi di due grandi città, Milano e Marsiglia; tutti e due santi.
San
Carlo Borromeo era il suo patrono personale, come di tutta la famiglia de
Mazenod nella quale il primo nome di ogni maschio era Carlo (ma anche la sorella,
Eugenia, si chiamava Carlotta). Sant’Eugenio celebrava con particolare gioia
l’onomastico ed era contento quando, diventato fondatore, gli Oblati gli
facevano gli auguri accompagnati da qualche regalo.
Nel suo viaggio a Milano nel 1826 ne visita la tomba.
Lo venera con affetto e lo prega regolarmente. Ne ricorda lo zelo. Lo prende ad esempio del distacco interiore dalle cose, della
frequenza della confessione…
“Le
grandi imprese di un s. Carlo Borromeo – affermava con sincerità – hanno sempre
suscitato nel mio cuore più soddisfazione e gioia che non ammirazione”.
Nel diario della missione tenuta a Marignane racconta di
aver parlato alla gente “sulla necessità di una grande espiazione sull’esempio
di Gesù e quello di parecchi santi: fra gli altri s. Carlo Borromeo il quale,
durante calamità di minore importanza s’è offerto vittima; ma egli voleva
allontanare soltanto castighi temporali mentre noi vogliamo debellare la
malattia orribile che divora e perde le anime: per questo i missionari volevano
imitarlo”.
Ammira
il suo coraggio nell’applicare le riforme richieste dal Concilio di Trento. È punto
di riferimento anche per il suo episcopato a Marsiglia.
Non
è protettore soltanto suo e della sua famiglia, ma anche dei suoi missionari,
come scrive allo zio Fortunato: “Noi prenderemo per protettori e per modelli s.
Carlo e s. Francesco di Sales, la nostra casa sarà un seminario per
regolarità, la vostra vita un esempio per i vostri sacerdoti” (17 novembre
1817).
Il
nome di san Carlo era apparso fin dal primo progetto di una comunità di
missionari: “Vivremo assieme in una casa da me comprata – aveva scritto al
futuro primo compagno – sotto una Regola che adotteremo di comune intesa,
ispirandoci agli statuti di S. Ignazio, di S. Carlo, di S. Filippo Neri, di S.
Vincenzo de' Paoli e del b. Alfonso dei Liguori” (9 ottobre 1815).
Al
punto che, quando decide di andare dal Papa per l’approvazione pontificia,
cambia il nome di “Missionari di Provenza” (non più adatto perché i missionari
sono ormai anche fuori della Provenza), in “Oblati di San Carlo”. Quando però
si trova davanti al papa gli chiede: “Vostra Santità approva che la Società
prenda il nome di Oblati della SS. e Immacolata Vergine Maria al posto di
quello di Oblati di S. Carlo preso precedentemente?”. “Il Papa, continua
sant’Eugenio, non rispose né si né no… Il cambiamento m'è parso necessario per
non essere confusi con infinite comunità che portano la medesima denominazione”
(A Tempier, 22 dicembre 1825). Al momento il cambio del nome non gli sembrò di
grande importanza e motivato da contingenze. Solo più tardi si rese conto che,
pur con tutto l’amor e la venerazione per san Carlo, il nome faceva bene la
differenza!
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