sabato 29 novembre 2014

Ad Avezzano con apa Pafnunzio

Domenica 30 novembre, appuntamento ad Avezzano con apa Pafnunzio.
Per l’occasione ho trovato un altro inedito dell’apa.

Era uno dei tanti monaci perduti nel deserto. Persona semplice, senza rinomanza alcuna. Eppure, con il passare degli anni, la frequentazione delle sante Scritture, apprese ormai a memoria e ripetute con assiduità, gli avevano reso familiare il mondo di Dio e quello degli uomini. Con la mente spaziava lontano, al punto da ritenersi quasi un saggio, come gli antichi padri del deserto. Ne trovava conferma nelle visite che riceveva, pur di tanto in tanto, da persone che giungevano da lontano per avere un consiglio, una parola di sapienza. A volte, nella sua debolezza e presunzione, si sorprendeva perfino a guardare con una certa superiorità e sufficienza gli altri monaci della laura che, al suo confronto, gli parevano rozzi e incolti. Neppure la coscienza dei propri peccati, ben più gravi dei monaci suoi fratelli, lo dissuadeva da pensieri di tanta stoltezza.
Ne ebbe pietà il suo Signore, che mandò a lui un mendicante, povero e lacero. Appena apa Pafnunzio lo vide comparire sulla soglia della propria cella, fu mosso a compassione e lo accolse con la bontà che gli era solita. Fu sufficiente lo scambio di poche parole perché l’apa si rendesse conto dell’ignoranza del mendicante che aveva dinnanzi. Lo trattò con sufficienza e con superiorità, consapevole del divario che lo divideva dal povero.
Questi, ignorando i pensieri insani dell’apa, gli aprì il cuore e gli narrò il sogno della notte appena trascorsa. Lo stesso Signore gli era apparso. “Sono contento di te”, gli aveva detto “perché so che mi ami e che vivi soltanto per me. Per adesso non posso mostrarti ancora il mio volto, ma tornerò presto da te e allora vedrai il mio volto”. Il povero aveva veduto soltanto i piedi del suo Signore e una cascata di raggi di luce: gli era bastato perché il cuore si illuminasse e si colmasse di gioia indicibile.
“A me il Signore non è mai apparso, neppure in sogno”, penso Apa Pafnunzio. “Perché appare a lui, persona di così poco valore e senza cultura, e non a me che medito giorno e notte le Scritture e che ho dilatato la mente suoi grandi misteri?”
Dopo che il povero, rifocillato, si fu rimesso in cammino, l’apa si rannicchiò in un canto della cella e rimase a lungo in silenzio. Infine si percosse il petto, vergognoso alzò lo sguardo verso l’icona appena alla parete, e così parlò al suo Signore: “Se questa notte fossi apparso a me in sogno, avresti potuto dirmi che sei contento di me? Avrei potuto contemplare i tuoi piedi ed essere avvolto dalla tua luce? Quanta sapienza nell’ignoranza del povero, quanta ignoranza nella mia scienza. Ti riveli agli umili e resisti ai superbi”.
Uscì in fretta e corse a visitare quello che riteneva l’infimo dei suoi fratelli. Gli si prostrò davanti e gli chiese con accento sincero: “Apa, dimmi una parola”.


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