In questo mese di maggio un pensiero a Maria “regina degli Apostoli e prima missionaria del Vangelo” (così la chiama il messale). È Regina
degli Apostoli perché prima missionaria del Vangelo. Quando è diventata la prima missionaria?
Inizia subito dopo
l’annunciazione. L’angelo era appena partito da lei. In Maria si era compiuto
il più grande evento che la storia avesse mai conosciuto: lo Spirito Santo era
sceso su di lei, ed era stava avvolta dalla potenza dell’Altissimo; l’Onnipotente
e il Santo aveva preso carne in lei; l’infinito Iddio si era rimpicciolito e si
era fatto figlio suo. Sarebbe stato più che naturale fermarsi in raccolta
contemplazione. Maria invece si alza e dà subito inizio ad un’azione nuova, che
– come indica l’uso del verbo greco – richiede un cambiamento e una decisione.
Non si ferma ma va. Esce da sé per andare incontro all’altro. Mette da parte
l’indicibile evento di cui è protagonista per entrare nell’evento dell’altro,
la parente Elisabetta, che pure è stata visitata da Dio ed ha concepito un
figlio. È un passaggio repentino. Alzatasi, intraprende il viaggio “in fretta”.
L’amore non conosce lentezze. “In fretta”, una parola che significa anche
diligenza, premura, entusiasmo. Non è con rammarico che Maria si dimentica di
sé per volgere la sua attenzione a Elisabetta, ma con gioiosa dedizione.
Perché si mise subito in
viaggio? L’evangelista non lo dice. Il testo sembra suggerire che il segno dato
dall’angelo – Dio aveva reso feconda la sterilità di Elisabetta – doveva essere
verificato. Mi piace tuttavia assecondare la lettura tradizionale che vede
Maria spinta dalla carità e dalla volontà di servizio verso la parente anziana.
Maria, scrive Ambrogio di Milano, «si avviò in fretta verso la montagna, non
perché fosse incredula della profezia o incerta dell’annuncio o dubitasse della
prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente
un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia».
Paolo VI, nell’enciclica Marialis cultus, accoglie questa
interpretazione quando scrive che la festa della Visitazione «ricorda la beata
vergine Maria, che porta in grembo il Figlio e si reca da Elisabetta per
porgerle l’aiuto della sua carità e per proclamare la misericordia di Dio
salvatore» (n. 7). Il primo intento è il servizio, la conseguenza è la
proclamazione di quanto Dio ha operato. «Maria va per fare il bene – scrive
Enzo Bianchi – e finisce per portare Cristo».
Non possiamo tenere per noi
la Parola che in noi si è fatta vita; siamo chiamati a partecipare il dono
ricevuto. Il Vangelo è uno scrigno prezioso che racchiude inestimabili tesori
di luce: da esso non soltanto possiamo attingere costantemente per la nostra
vita, ma possiamo anche distribuirne a tutti le inesauribili ricchezze, a mani
piene. Anche noi subito in piedi, con l’urgenza, la sollecitudine, la premura
di farci prossimi, di servire, di condividere la Parola di Dio ricevuta e
l’esperienza di fede che ne è nata.
“Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta” (1, 40). Cosa le disse? come fu apostola verso di lei? Il Vangelo non riporta le parole di Maria. Forse le disse semplicemente “shalom”, ma è bastato un saluto perché il bambino in seno a Elisabetta sussultasse. Maria porta il Signore e l’altro lo avverte: in Elisabetta c’è una vita che sobbalza di gioia, quasi risvegliata dall’incontro con Cristo. I personaggi esteriori sono Maria ed Elisabetta, ma quelli veri, interiori, sono Gesù e Giovanni. Le due donne si incontrano, ma il vero incontro è quello tra i due figli. Poi da quel salutò scaturì il Magnificat...
Lo
stesso possiamo fare noi con gli altri. In noi c’è la Vita, e ne siamo
consapevoli. Ma anche nell’altro c’è la Vita. Qui il Verbo, lì il Verbo, o
almeno i semi del Verbo, pur sempre Verbo. Forse basta anche solo un saluto… Poi verrà anche il Magnificat...
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