lunedì 17 aprile 2023

Igino Giordani: una vecchiaia che essenzializza e dilata

18 aprile: anniversario della partenza per il Cielo di Igino Giordani.

Nella mia conferenza sull’anzianità, dopo aver iniziato con la testimonianza di p. Olegario Domínguez, terminerò con quella di Igino Giordani, del quale è in corso la causa di beatificazione. Noto uomo di lettere, giornalista, politico, padre di famiglia, focolarino, parlamentare e membro della Costituente e del Consiglio dei popoli d’Europa a Strasburgo, era nato a Tivoli il 24 settembre 1894 e concluse il suo viaggio terreno a Rocca di Papa il 18 aprile 1980.

Giordani era già anziano quando l’ho conosciuto. Ricordo quando, nella nostra comunità degli Oblati a Vermicino, aprendo la porta me lo trovavo davanti per una delle sue graditissime improvvisate. Oppure quando stava seduto su una panchina, nel giardino del Centro Mariapoli a Rocca di Papa, circondato da ragazzi, giovani, famiglie intere, in un dialogo semplice e intenso.

Mi sono rimasti impressi soprattutto le brevi visite agli incontri dei religiosi al Centro Mariapoli. Gli bastava darci un saluto. Spesso voleva soltanto farci sapere che aveva sempre vissuto in compagnia dei nostri fondatori e dei nostri santi, che aveva letto i loro scritti e aveva pubblicato biografie e profili su di loro. A volte ci ricordava tempi nei quali aveva sofferto per il divorzio tra noi “consacrati” e lui, laico. «Voi, ci diceva con quell’humor fine che lo caratterizzava, eravate i consacrati e noi laici gli “sconsacrati”. Ora invece siamo tutti membri della stessa famiglia, tutti affratellati». Era per lui una grande gioia costatare la profonda unità che il Movimento dei Focolari aveva creato tra tutte le vocazioni. Naturalmente non si trovava bene soltanto con noi religiosi. Igino Giordani si trovava bene con tutti, giovani, famiglie, politici, prelati, cristiani di altre Chiese... Niente e nessuno gli era estraneo, lui che era stato padre di famiglia, insegnante, scrittore, giornalista, politico, ecumenista...

L’ho conosciuto dunque che era ormai anziano. Aveva superato traversie di ogni genere ed era diventato - così appariva ai miei occhi - semplice e mite, puro di cuore, con sulle labbra quel perenne sorriso che lasciava intravedere il superamento di tante prove.

Non dovette essere facile giungere a quell’approdo sereno.

Nel suo diario descrive il tempo della vecchiaia, a cui era giunto, con l’impiego di una metafora, quella dell’albero, che torna spesso nei suoi ultimi scritti. Leggiamo due di questi brani:

25 maggio 1957 – La più ovvia similitudine che si presenti al mio spirito nel contemplare quel che ho fatto, è che la mia vita sia come un albero in autunno, quando perde le foglie e incanutisce. Cadono a una a una le illusioni: politica, lettere, amicizie, ricchezza, prestigio... Ma è una valutazione superficiale. Appena si profonda l’occhio un po’ oltre le parvenze, si trova che questo distacco di valori effimeri è una liberazione. Persino il non veder considerati i propri lavori religiosi dagli uomini di religione, è una delicatezza del Padre. Egli vuole l’amore assoluto: l’amore puro, disinteressato. Egli vuol essere amato per Lui. E anche gli uomini vanno amati per Lui. Non per noi dunque, non per vantaggi umani, per decorazioni terrene, per lauri istituzionali. Dio solo.


24 settembre 1963 - Sessantanove anni: mèta a cui sono arrivato senza accorgermene. Mi ripromettevo da essi tante cose: e i frutti colti sono altri da quelli che mi ripromettevo. Si vede che io zappavo, potavo, facevo danni: il divino Agricoltore correggeva e vivificava. E m’ha portato al frutto della solitudine: ma come silenzio e pausa per conversare con Lui, esser con Lui. Gli uomini si sono distaccati per i motivi umani: ma a ogni distacco Egli s’appressava. Ora, siamo Lui e io: il Tutto e il nulla; l’Amore e l’Amato. E il dialogo non è disturbato dai clangori degli amici, dei clienti... Allora, se torno tra creature umane, è per amarle, senza presumere d’essere riamato, è per servirle, senza aspettarmi d’essere servito: neppure dai più vicini per natura e soprannatura: così vicini e così remoti! Per tal modo quello che pareva un abbandono di uomini è risultato un ritrovamento di Dio – e in Lui sono gli angeli e i santi, da Maria all’ultimo defunto in grazia. Pareva un crollo, ed è stato un elevamento al cielo. Una liberazione, invece che una dispersione.

Il venir meno di affetti e cose, il sopraggiungere di disagi e solitudine, assieme a tutto il retaggio della vecchiaia, non lo percepiva come una situazione negativa. Lo sentiva piuttosto come una “liberazione”, come un provvidenziale distacco dall’effimero. Vi riconosceva il frutto dell’amore e dell’azione di Dio che taglia il superfluo perché Lui solo splenda in pienezza come il Tutto della vita e, in Lui, un nuovo universo di rapporti non più inquinati dalla ricerca di sé o dall’interesse.

Questo è il Giordani che io ho conosciuto: senza più frascame, in dialogo diretto e costante con quel Dio di cui si poteva scorgere il riflesso sul suo volto di bambino.

Un aspetto del concreto itinerario verso la santità è stato proprio il superamento della prova della spoliazione interiore, sperimentata come solitudine, senso di abbandono di incomprensione, di inutilità.

Con l’avanzare degli anni quest’uomo che era stata per tanto tempo al centro di un’incredibile intreccio di relazioni, che aveva vissuto intensamente situazioni politiche e scambi culturali, aveva la sensazione di essere stato emarginato. Il diario riporta la sofferenza di questo vuoto attorno, una delle prove più grandi della sua vita. Il modo con cui affronta e vive questa situazione è garanzia di autentica santità.

Ogni volta che scrive di questo ripetuta prova si sente che la sua anima si dilata ulteriormente in più ampia comunione con la Chiesa e con tutto il Cielo. La solitudine fra gli uomini, che gli sembra “espandersi”, gli si rivela sempre più chiaramente come intervento del “Dio geloso che vuole l'anima tutta per Sé”.

1 novembre 1963 – Una delle più belle giornate: il male fisico mi ha costretto a casa, e a casa ho meditato su Maria, e la mia anima s’è colmata di Lei: dunque di poesia, bellezza, purezza. S’è verginizzata.

Ed è il giorno dei santi: essi dunque culminano e si riassumono in Maria, “Madre dei santi”.

Stando con Lei, sono stato nel Cenacolo, gremito di loro.

E dunque: non è vero che gli uomini ti abbandonano. È vero che ti lasciano disponibile per il Signore: ti lasciano solo con Lui. Cresce il silenzio terrestre attorno e si colma dell’armonia celeste. Non parlano più pezzi grossi e pezzi piccoli, uomini e donne: e parla con te il Signore, e nel suo linguaggio ti ritrovi in casa – in un’orbita d’amore – con Maria e Paolo, con Giuseppe e Agostino, con Caterina e Vincenzo... coi martiri e i dottori, le vergini e gli eremiti. Il popolo del Paradiso è il tuo popolo.

Un ultimo testo lascia intuire il punto di arrivo del cammino di santità di Igino Giordani:

12 luglio 1964 - Ora sento che si vola, d’attimo in attimo, verso di Lui irraggiungibile e pur vicino. Vicino sì che già comincio a essere in Lui. Prima, l’unione m’era parsa uno stare con Dio: ora, mi appare unità, che è uno stare in Dio sino a farsi Lui. Si capisce: nelle proporzioni con cui un’anima, figlia di Dio, può unirsi col Padre. Eppure, anche la goccia d’un Oceano è oceano: anche un’anima, atomo infinitesimale, se persa in Dio, è Dio per partecipazione.

E il rapporto si snoda per tutti i gradi dell’economia divina.

Si è uno con Maria, uno con gli angeli e coi santi.

La stessa unità si fa con la Chiesa. Io non son più verso di Lei in servizio, sì, ma pure in indipendenza e spesso in stato di critica. Ora sono nella Chiesa: la sua legge è la mia legge, le sue prove le mie prove.

Ora sono in Dio: sono Dio per partecipazione: ed Egli è la libertà, l’amore, la quiete.

Sostituire Dio all’Io; l’uomo nuovo all’uomo vecchio: questo è: ed è evidentemente un guadagno abissale.

Le conseguenze logicamente si risentono anche nella convivenza umana, nei rapporti civili, politici, economici... Per addurre un esempio: mai come ora sono stato unito a mia moglie, immagine, come mai, della Chiesa; unito con un rapporto divenuto sacro, nel quale sento che comincia a realizzarsi l’unione nuziale di Cristo con la Chiesa.

Sempre lì, per la gravitazione divina, si ricade: nell’amore. E amare è farsi l’altro. L’altro, che nel mondo può essere il differente, il nemico, cessa, ché di due si fa uno.

Un farsi uno che assorbe la volontà, il sentimento, il pensiero, e tuttavia non assorbe la persona: difatti instaura un dialogo. Un dialogo che genera la familiarità.

L’approdo è essere Dio, come una goccia nell’Oceano è Oceano. Come sempre Giordani avverte la propria piccolezza, “atomo infinitesimale”, ma ormai totalmente assunta in Dio. Dio si è sostituito all’io. È l’inizio di una nuova socialità, di un rapporto nuovo, vissuto in pienezza e purezza, con tutti, da Maria ad ogni membro della Chiesa, fino alla moglie, nella quotidianità delle relazioni santificate, divinizzate.

La santità di Giordani è come l’aveva sempre sognata, pienamente umana e laica, inserita nella fibre intime del sociale in ogni sua forma: Dio fatto carne.

 

1 commento:

  1. Anch'io l'ho incontrato passeggiare nei giardini di Rocca di Papà, tutto vestito di bianco, compreso il cappello e con il bastone. Non ricordo che cosa ci ha detto, ma si vedeva che era contento di stare con noi, poco più che ragazzi. Ringrazio padre Fabio per questo bel ricordo che ci ha dato di Igino Giordani. Aspettiamo ora la beatificazione di una persona così speciale, un modello di vita e di laicità.

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