La
notizia di per sé c’è, straordinaria, da urlo di prima pagina: “è risorto!”.
Non abbiamo bisogno neppure di nominare il soggetto: uno solo è risorto! Ma è
una notizia attuale? Non è relegata nella notte dei tempi e tritamente ripetuta
a Pasqua d’anno in anno, senza più mordente? È a tutti nota, o per i più è
soltanto un mito, quindi è una non notizia. E poi niente fa più notizia. Non
cambia niente e niente potrà cambiare. Inerzia, apatia, mancanza di futuro.
Siamo arresi a un presente qualunquista. Le notizie – che non sono più tali –
si susseguono come un lampo, meno ancora, una lucetta di cellulare che si
accende e subito si spegne. E poi a chi interessa Dio? Più interessante il
selfie, la bravata che posto sul social, il mio effimero apparire in rete. Più
interessante ancora il profitto, il potere.
Eppure
quell’annuncio – “è risorto!” –, la prima volta che si diffuse, sconvolse
Gerusalemme. Fu subito messo a tacere e il costo dell’operazione si rivelò ben
più alto dei 30 denari pagati per il tradimento. Inutile. A partire da quella
cittadina di periferia la notizia raggiunse i confini dell’impero. Si cercò
allora di soffocarla nel sangue. Inutile. La notizia aveva oramai innescato un
processo inarrestabile dando vita ad un popolo nuovo del quale vennero a far
parte uomini e donne d’ogni popolo e lingua. Di secolo in secolo si ripeterono
i tentativi per silenziare la notizia: confutazioni razionali, dileggio,
indifferenza, intimidazioni e di nuovo sangue. E per quella notizia si continuò
a morire, ostinatamente, in Cina, in Corea, in Giappone, in Uganda, in Messico,
in Spagna, in Russia… Quale nazione potremmo non nominare? Anche oggi si
continua a morire e a vivere! Sì, perché questa è una notizia che fa vivere e
per la quale, quindi, vale la pena morire.
Ma
come dirla oggi? Dietro quella notizia c’è un evento, Gesù di Nazareth, profeta
in Israele, ucciso con la più infamante e crudele delle esecuzioni capitali, la
crocifissione; sepolto e risuscitato il terzo giorno dal Padre suo, da Dio,
perché Egli è il Figlio di Dio. Ma chi è questo Dio, sempre lontano, distante e
quindi inesistente?
Potremmo partire dal Tommaso di Caravaggio che introduce il dito nella
piaga del costato di Cristo risorto, una delle icone più note ed eloquenti
della Risurrezione. Personalmente non immagino così la scena. A Tommaso sarà bastato
vedere il Signore e le sue piaghe, senza doverle toccare, per crollare in
ginocchio e proclamare la più alta professione di fede di tutto il Nuovo
Testamento: «Mio Signore e mio Dio». Una fede partecipata e appassionata, viva
e personale, espressa con forza dal pronome possessivo: il “mio” Signore, il
“mio” Dio.
La straordinarietà della scena sta nel fatto che Gesù risorto non
nasconde con vergogna le piaghe della crocifissione. Le mostra come prova del
suo amore, sono la sua gloria. Tommaso non voleva vedere Gesù, ma il “segno”
dei chiodi, il “segno” della lancia. In fondo cercava il segno di quanto fosse
stato amato. Se Dio è Amore, Gesù ha un solo modo per mostrarsi Dio: amare con
un amore da Dio! Le sue piaghe lo rivelano. Non le ha cancellate perché sempre,
per tutta l’eternità, vi si leggesse il suo amore infinito.
Anche noi proprio perché, come i discepoli nel cenacolo, ci sentiamo soli,
o tristi, o scoraggiati, o delusi, o disperati, abbiamo bisogno di vedere le
piaghe del Cristo, un Dio vicino, partecipe del nostro vivere, del nostro
patire, del nostro morire. Dovremmo saperlo riconoscere in ogni piagato, in
ogni persona che soffre, in ogni situazione che sanguina, nelle nostre stesse
piaghe, fatte di limiti, fallimenti, nelle sofferenze più assurde e le meno
attese… Anche in quelle di una Chiesa che si trova ogni giorno di più ingolfata
negli scandali. Perché lui non se n’è stato lontano, si è calato fin qui, in
totale condivisione.
«Siamo invitati a non dissimulare o nascondere le nostre piaghe – ha
affermato con coraggio papa Francesco il 16 gennaio 2018 durante il suo viaggio
in Cile –. Una Chiesa con le piaghe è capace di comprendere le piaghe del mondo
di oggi e di farle sue, patirle, accompagnarle e cercare di sanarle. Una Chiesa
con le piaghe non si pone al centro, non si crede perfetta, ma pone al centro
l’unico che può sanare le ferite e che ha un nome: Gesù Cristo. La
consapevolezza di avere delle piaghe ci libera; sì, ci libera dal diventare
autoreferenziali, di crederci superiori».
C’è
forse un altro modo perché “la notizia” torni ad essere tale: mostrarne la
straordinaria potenzialità negli effetti sociali, civili, cosmici di cui essa è
capace. Gesù è morto da solo, come un chicco di grano caduto in terra – così
aveva profetato – e risorge come spiga: moltiplicato, comunità di credenti. È
questa la forza e l’attualità della Risurrezione, un evento che continua a
generare un popolo che è il suo corpo: Lui vivente e operante nella storia.
Mi
viene da pensare all’atomo, impossibile da “fotografare” eppure “visibile”
nell’energia che sprigiona. Impossibile “mostrare” il Risorto, fotografarlo, eppure
lo si può cogliere, come riflesso, sul volto e negli atti della comunità nella
quale Egli vive, per sempre. Vedi la spiga e pensi al seme che l’ha generata.
Con
la sua risurrezione è possibile ogni risurrezione. Non è più vero che “non c’è
niente di nuovo sotto il sole”. È accaduto una cosa nuova, mai udita prima: la
morte è stata vinta, assieme a tutto ciò che alla morte assomiglia.
L’ineluttabile fato non è più tale. La resurrezione e la vita hanno rotto il
ciclo della consumazione, sono penetrate nella storia, l’hanno aperta ad un
futuro di novità. Per sua natura non è un evento relegato al passato. Se Egli è
il Vivente lo è nell’attualità d’ogni presente, ora, qui. La speranza si
riaccende in questo nostro oggi, in mezzo alla precarietà del lavoro, agli
orrori della guerra, al dilagare dell’ingiustizia, al pantano della stupidità,
alla incertezza del futuro.
È
una notizia che sorprende chi crede e chi non crede. “È risorto veramente?”, si
domanda il primo. Perché se è veramente risorto… “E se fosse vero?”, può
domandarsi il secondo. Perché se fosse veramente risorto… Basterebbe anche
soltanto l’ipotesi, l’utopia di una risurrezione.
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