La
più alta professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: “Mio Signore e mio
Dio”. Una fede partecipata, personale, appassionata. Non la fede in qualcosa
oggettivamente presente ma discosto, frontale, lontano: sei il “mio” Signore,
il “mio” Dio.
Credere
in te è lasciarti entrare nella “mia” vita, riconoscere un rapporto che ci unisce
intimamente, in una reciproca appartenenza: tu sei mio perché io sono tuo, mi
hai acquistato a caro prezzo, con il tuo stesso sangue, testimoniato dal segno
dei chiodi e della lancia che non hai voluto cancellare perché sempre, per
tutta l’eternità, vi leggessimo il tuo amore infinito. Sei proclamato da
Tommaso “il” mio Signore, “il” mio Dio, proprio con l’articolo (così in greco),
a sottolineare che sei l’unico, il tutto, senza possibilità di parcellizzare l’appartenenza
e l’amore.
Al
vederlo i discepoli furono pieni di gioia. “Beati i vostri occhi perché vedono”,
proclamò loro una volta.
Sì,
veramente beati. Che gioia sarebbe vederti! Potessimo essere stati lì anche
noi, a porte chiuse, e nell’intimità di quella sera vederti. Ma questo nostro
tempo è il tempo
Forse
è proprio questo l’insegnamento: puoi apparire ovunque perché ovunque sei
presente: in casa, al lavoro, per strada, nei posti più impensati. Ci sei
perché sei il Risorto, il Vivente, non più legato a un luogo, a un tempo. Il
miracolo non è quando tu appari. Il miracolo è che tu ci sei, qui, realmente presente,
e non ti fai vedere!
Siamo
beati anche noi che non ti vediamo, come lo erano i tuoi discepoli che ti vedevano.
Anche noi, come loro, siamo pieni di gioia perché tu ci sei, qui, accanto, in
mezzo a noi, il mio Signore e il mio Dio.
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