venerdì 28 aprile 2023

Come vivere il passato, il presente, il futuro

Finalmente ho dato la mia conferenza sulla vecchiaia a un gruppo di missionari anziani, bellissimi. Tra l’altro ho parlato di come vivere il passato, il presente, il futuro.

La vecchiaia consente una presa di distanza dalla vita passata. Non un rifiuto del vissuto, ma una sua piena assunzione in una luce nuova. Quando avviene la perdita della memoria non sappiamo cosa accade dentro la mente e se il passato è ancora presente e come viene rielaborato, ma per chi ha ancora la memoria buona il passato può essere richiamato come oggetto di riconciliazione, di gratitudine, e può generare sapienza nel presente e speranza per il futuro.

È bello potersi voltare indietro, “fare memoria” del proprio passato e vedere per intero il lungo percorso compiuto. Emergono gli sbagli, le occasioni perdute, i peccati…, ed è il momento per chiedere perdono e per riconciliarsi con se stessi. Si vedono le ingiustizie subite, ed è il momento per riconciliarsi con tante persone, anche se già morte. Tornano alla mente le tante persone incontrate dalle quale abbiamo ricevuto, ed è il momento di farne memoria con gratitudine, di parlarne bene, di mantenerle vive dentro di noi…

Si tratta di dare continuità a una storia che ci precede, ci attraversa, continua dopo di noi. Di fatto trasmettiamo alle nuove generazioni anche e sempre ciò che abbiamo ricevuto da quelli che ci hanno preceduto e che ci hanno generato, educato, fatto crescere e guidato in questo mondo. Ricordarsi dei morti significa ricordarsi del debito che abbiamo con quelle persone, e quindi dei nostri doveri verso il presente e il futuro.

La vecchiaia diventa il momento della narrazione, orale o scritta. Quanti missionari, negli ultimi anni di vita, hanno scritto la loro biografia, i ricordi della loro missione. È un modo per rendere grazie a Dio e per tramandare la propria esperienza. Si può giungere a cogliere il filo d’oro dell’azione di Dio, che ci ha accompagnato lungo la nostra vita e che ha saputo scrivere diritto anche sulle nostre righe storte. La vita diventa un grazie perenne, pur nelle eventuali prove o malattie.

Martini coniò in proposito una nuova beatitudine: «Beati coloro che riescono a leggere il proprio vissuto come un dono di Dio, non lasciandosi andare a giudizi negativi sui tempi vissuti o anche sul tempo presente a confronto con quelli passati!».

 

Non abbiamo soltanto una memoria da tenere viva e verso la quale mostrare perdono e gratitudine. Anche da vecchi abbiamo un presente da vivere. Un presente come tempo dello Spirito.

Philip Roth in Everyman fa dire a un anziano pittore queste parole: «Quando sei giovane, è l’esterno del corpo che conta, l’aspetto che hai esternamente. Quando invecchi, ciò che conta è quello che c’è dentro, e la gente smette di badare all’aspetto che hai».

È importante saper dare qualità al proprio tempo, anche quando il tempo sembra non passare mai perché le attività e gli incontri si assottigliano. Lo sguardo sapiente e pacificato sulla propria vita e sulle cose del mondo, il ritorno a ciò che è più caro, alla parte davvero preziosa della proprio persona e della propria storia, può offrire l’opportunità di reinventarsi o almeno di dare un senso sempre più profondo al presente…

Paul Ricoeur offre una preziosa indicazione al riguardo: per combattere la noia che può far parte della vecchiaia, bisogna «essere attenti e aperti a tutto ciò che succede di nuovo. Restare capaci di quella che Cartesio chiamava l’ammirazione. Questa è per me la saggezza dell’età senile. Spero di esserne capace finché Dio me ne darà la forza».

Conosco una persona di oltre 90 anni che ogni giorno legge con interesse e attenzione il giornale per continuare ad amare il mondo e a pregare per tutte le sue necessità.

Si potrebbero rileggere con calma il Vangelo, le vite dei santi, i libri di spiritualità, ma anche i classici della letteratura, lasciando che riaffiorino le cose più belle che abbiamo imparato, senza smettere mai di imparare. Nella vecchiaia c’è tutto il tempo per coltivare la vita interiore, intesa non come ripiegamento su se stessi, neppure come rifiuto del mondo esterno e degli altri. Si tratta piuttosto di aprirsi all’esterno, al mondo e agli altri, con la luce che viene da dentro, con lo sguardo stesso di Dio.

“Amare” può essere una parola superficiale o impegnativa, a seconda di come la si pronuncia. Forse è l’opera più importante del vecchio. Suor Emmanuelle, dopo aver speso la sua vita per aiutare i poveri delle baraccopoli del Cairo, alla richiesta di inviare un messaggio agli anziani, risponde: “Dica loro che la missione della persona anziana è amare. Perché, vede, io, dalla mia poltrona, non posso fare più nulla di concreto, però, posso ancora, sorridere, ascoltare, diffondere amore tramite la mia presenza. Gli slanci del mio cuore sono intatti. Il cuore può non invecchiare, se lo vogliamo o meglio, se continuiamo ad amare. Semmai bisogna togliere le foglie della tristezza e dell’amarezza, che spesso si addensano nel tempo della vecchiaia. Bisogna assolutamente rompere questa scorza di tristezza, immergersi nelle profondità del lago, nelle profondità del cuore. Si deve attingere il coraggio di andare in fondo a se stessi”.

 

Infine il futuro. Saggezza è quella di Giovanni Battista che di fronte alla “novità” di Gesù, che lui stesso aveva preparato, ha il coraggio, l’umiltà e la lungimiranza di dire: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3, 30).

Saggezza è saper riconosce il valore dell’esistenza giovanile, anzi, amare i giovani e aiutarli, non con volontà di dominio, ma con il desiderio che la vita continui in maniera sempre nuova e creativa. È ciò che Erik Erikson chiamava “generatività”: l’anziano si prende cura delle generazioni successive.

La saggezza e la sapienza che maturano con la lettura del lungo cammino percorso, assieme all’esercizio costante della preghiera, affinano l’amore per le generazioni che ci seguono. A loro dobbiamo lasciare spazio, senza gelosie o invidie. C’è chi vuole mantenere, a denti stretti, fino all’ultimo, il comando e le redini di un’azione, di una comunità, di una missione. Non accetta di passare il testimone, di “mettersi da parte”, di lasciare il posto ad altri, al nuovo che deve nascere.

Certamente fa soffrire vedere che non sempre si segue il cammino che abbiamo tracciato per tanti anni. Si lasciano tradizioni che ci sono familiari, modi di fare e di pregare che ci danno sicurezza. A volte sembra che crolli tutto un mondo che abbiamo costruito con tanti sacrifici. Viene la tentazione del confronto con il passato: “Ai miei tempi…”. Saggezza è incoraggiare, dare fiducia, infondere speranza, sostenere con la propria preghiera e, se opportuno, con il proprio consiglio.

Il vecchio, con passare degli anni, si fa consapevole che una generazione è legata all’altra, nella continuità della storia. Egli non vive per se stesso, ma per le nuove generazioni. «Amo la stirpe dei secoli venturi – scriveva F. Hölderlin –. Questa è la mia più beata speranza, la fede che mi mantiene forte e attivo… Il più sacro scopo dei miei desideri e della mia attività è quello di suscitare nella nostra epoca i germogli che matureranno nel futuro». Per i giovani e gli adulti l’anziano può essere visto come un peso che rallenta la corsa della vita. Per l’anziano le nuove generazioni possono essere viste come competitive, antagoniste. Occorre una alleanza tra generazioni, come invita costantemente papa Francesco.

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