«Abbiamo un Padre! Ho un Padre! Padre! Padre
nostro... Chi più ricchi di noi, di me?». Era il 29 ottobre 1965. Chiara Lubich
stava meditando sull’invito di Gesù a entrare nella propria camera per parlare
in segreto con il Padre (cf. Mt 6, 6). A volte anche le parole più note del
Vangelo sprigionano una luce inaspettata. La coscienza di avere un Padre e di
stare alla sua presenza le infonde gioia e confidenza: «Padre, eccomi qui nel
segreto della mia stanza. Di fronte a Te non sento il bisogno di spiegarmi, di
dirti, di analizzarmi per presentarmi. Sento solo il bisogno di donarmi a Te
tutta intera, così come sono, con i miei peccati, con le cose buone, se ci
sono. (…) Oggi tutto il giorno penserò a questa realtà: ho un Padre, ho il
Padre che mi ascolta nel segreto dell’anima. Con Lui intavolare un perenne
colloquio».
Questo
suo rapporto con il Padre viene da lontano. C’è un giorno preciso nel quale la
parola “Padre” non fu più soltanto una parola, neppure una preghiera, ma un
reale “entrare” nel Padre. Era il 16 luglio 1949. Gesù Eucarestia aveva operato
la trasformazione in sé dei due (Chiara e Igino Giordani) che insieme erano
andati a riceverlo chiedendogli che facessi di loro una cosa sola, quell’unità
per la quale Gesù aveva pregato nell’ultima cena. E l’Eucaristia lì fa Gesù, un
unico Gesù. Così lei, figlia nel Figlio, nel momento di pregare si trova sulla
bocca non la parola Gesù – perché Gesù non può chiamare sé stesso – ma, messa
dallo Spirito, la parola: “Padre”. Eccola tutta proiettata nel Padre. È
l’esperienza cristiana per eccellenza: essere Gesù in cammino verso il Padre,
orientati al Padre. «Da allora – scriverà più tardi – mi è parso di concepire
la religione in modo tutto diverso da come la concepivo prima. (…) la religione
è guardare anzitutto al Padre. La scoperta del Padre è stata per noi una
conversione (…): guardare prima di tutto al Padre; dopo, nel Padre troviamo
tutto».
Nell’agosto di quello stesso anno, racconta quell’esperienza unica e insieme di sempre che era avvenuta il 16 luglio.
Agosto
1949
Capimmo
che consumandoci in uno e mettendo a base del cammino della nostra vita l'unità
eravamo Gesù che camminava. Lui che è Via si faceva in noi Viatore.
E
noi non eravamo più noi, ma Lui in noi: Egli fuoco divino che consumava le
nostre due anime diversissime in una terza anima: la sua: tutta Fuoco. Per cui
eravamo Uno e Tre. Gesù e Gesù in lui; Gesù in me; Gesù fra noi. Il luogo che
ci accoglieva un ciborio con Uno o Tre Gesù. (…)
Ed il Gesù in me si presentò dinanzi al tabernacolo per comunicare giacché al fratello non poteva comunicare ché il fratello ero io, era Gesù. (…) E dalla bocca mi uscì dallo Spirito espressa un'unica Parola: Padre! E tutto fu compiuto. Più nulla manca. Ho ritrovato il mio primo Amore: Dio-Amore: Padre.
Ed ho rivisto la vita di Gesù tutta protesa verso un unico "dappiù di me", il solo buono: Padre. E risentii rispondere agli Apostoli che il pregare è dir poche parole, così: Padre nostro. Così Gesù Si perde nel Padre e se dice di pregar Lui in nome suo è perché disse: "Chi vede me vede il Padre".
Noi: figli nel Figlio nel Padre. E Gesù fianco a noi guarda e ci fa guardare Uno Solo: il Padre. Fianco a noi ed in noi: ché attraverso gli occhi suoi guardiamo al Padre.
Quando la notte è scesa senza sole il mondo è illuminato dalla luna e dalle stelle. Così le anime, che non trovarono il Padre stando in Gesù, hanno e guardano nel Cielo della loro anima la Vergine ed i santi. Ma, quando il sole sorge, scompare la luna e scompaiono le stelle ed, anche se ci sono, sono perdute nella luce del sole: la Luce emanata dal Sole è Gesù ed il Sole è il Padre.
Le nostre anime guardino solo al Padre. In Lui ritroveranno Maria ed i santi fatti Dio. Così la Mamma ed i fratelli Lassù vogliono esser guardati ché il loro Paradiso è il Padre.
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