“Una
cena in un prato con la folla seduta sull’erba. Io sento l’esigenza di celebrare
di più, nelle piazze, nella natura, nelle case, negli ospedali, nelle carceri, fisicamente
accanto alla bellezza del creato e al dolore dell’uomo. A volte le nostre meravigliose
cattedrali, le nostre fastose liturgie rischiano di diventare un luogo per pochi,
spazi per alcune élite”.
Ogni mercoledì
sulla prima pagina dell’Osservatore romano leggo il commento al vangelo della
domenica successiva. Scrivono le migliori penne. Questa volta è don Francesco
Pesce, parroco a Roma.
È bello
vedere la gente seduta sull’erba, attorno a Gesù che prende i pani, alza gli
occhi al cielo, recita la benedizione, spezza i pani… Sono le parole
dell’Eucaristia.
Chissà
come sarebbe bello, in questa domenica d’estate, sederci sull’erba, attorno a
Gesù, e riscoprire quei gesti, ascoltare ancora quelle parole, espressione
della compassione di Dio per noi, della sua vicinanza alla nostra vita
quotidiana.
“Il Signore
– continua don Francesco – va verso e rimane dove la fede è semplice e sincera;
dove la speranza non è retorica, ma attesa fiduciosa di una promessa che si compirà;
e dove la carità ascolta il grido del povero e tende la mano ad ogni fratello, senza
giudizio, condizioni o preferenza di persone”.
Poi ci
sono quelle dodici ceste di pane avanzato, che non può essere mangiato da chi
ha ancora fame: “Penso ai cristiani ancora oggi perseguitati, che non possono celebrare
l’eucaristia; penso a quelli esclusi dai sacramenti, non poche volte vittime non
solo della loro debolezza, ma della nostra durezza di cuore, che alla misericordia
preferisce il giudizio di condanna; penso alle Chiese sparse nel mondo dove il sacerdote
arriva solo una volta ogni tanto… Queste dodici ceste avanzate sono anche una grande
speranza che si fa preghiera: O Signore Gesù, fa che ci sia veramente un posto per
tutti, alla Tua mensa e nessuno venga escluso, nessuno sia fuori o abbandonato.
Forse allora quello sarà il giorno in cui Lui ritornerà”.
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